mercoledì 21 settembre 2011

Osservatore: per diventare cardinali meglio le api dei tafani (Izzo)

OSSERVATORE: PER DIVENTARE CARDINALI MEGLIO LE API DEI TAFANI

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 20 set.

Quando all'orizzonte del loro casato apparve la prospettiva di avere un cardinale, "i Barberini pensarono bene di trasformare i tafani - presenti nel loro stemma - in api".
Lo racconta l'Osservatore Romano che rivela la presenza dei temibili insetti velenosi nel blasone di un futuro Papa, nella divertente ricostruzione - a firma del vaticanista Mario Ponzi - sui rapporti tra i Pontefici e le api, culminati in questi giorni dal dono fatto a Benedetto XVI dalla Coldiretti di un alveare con 500 mila operaie destinate alla Fattoria Pontificia di Castelgandolfo. "Qualche colpo di scalpellino e - scrive Ponzi - gia' verso la meta' del Cinquecento la trasformazione divenne ufficiale: i tafani divennero docili api, simbolo di operosita', di fatica virtuosa, di tenacia ma anche di eloquenza". Secondo l'Osservatore, "anzi nello stemma di Urbano VIII rappresentavano, forse soprattutto, proprio il significato di dispensatrici del Verbo".
Un ruolo del resto che, sottolinea l'articolo, "a questi incredibili insetti e' attribuito sin dall'antichita'". Infatti, "l'ape era ritenuta messaggera divina e non poche volte i santi erano per questo raffigurati con la bocca socchiusa dalla quale uscivano piccole api per ribadire che il loro nutriente miele era il Logos da offrire agli uomini".
"Sant'Ambrogio ando' oltre, paragonando la Chiesa a un'arnia e i fedeli alle api per indicare come vero cristiano colui che odia il fumo della superbia e raccoglie dai fiori solo il meglio. Anche nella mitologia l'ape era accostata alla divinita'".
"Proprio questo passato che ha assicurato un futuro alle api nella vita della Chiesa" spiega l'Osservatore citando il suo critico d'arte Sandro Barbagallo che ne ha contate "oltre duemila raffigurate in fogge e posizioni diverse nella basilica di San Pietro.
A cominciare da quelle scolpite da Gian Lorenzo Bernini sulle quattro colonne che delimitano l'altare della Confessione. Omaggio a Urbano VIII, il quale gli aveva commissionato i lavori". "Tra l'altro - rivela l'articolo - il Papa teneva molto alla realizzazione dell'opera. Ci teneva al punto da non lesinare sforzi di nessun genere pur di giungere al suo completamento. Anzi per fornire le centomila libbre di bronzo necessarie non esito' a ordinare l'uso delle travi del Pantheon, cosa che gli costo' la citazione apparsa sulla base della famosa statua del Pasquino: 'Quod non fecerunt barbari, Barberini fecerunt'".

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Un articoletto degno dell´Osservatore Romano!

Jacu