Su segnalazione di Laura leggiamo:
Papa: dalle Caritas “gesti” che parlando, educano, evangelizzano
L’individualismo dei nostri giorni chiede capacità di ascolto e apertura verso chi è nel bisogno. “Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande”. La Chiesa non vuole sostituire né assopire la coscienza civile. “Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà”.
Città del Vaticano (AsiaNews)
I “gesti” che le Caritas compiono nell’aiuto di chi è nel bisogno sono strumenti attraverso i quali esse parlano, educano, evangelizzano.
“Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande”, specialmente quando “l’individualismo dei nostri giorni, la presunta sufficienza della tecnica, il relativismo che influenza tutti, chiedono di provocare persone e comunità verso forme alte di ascolto, verso capacità di apertura dello sguardo e del cuore sulle necessità e sulle risorse, verso forme comunitarie di discernimento sul modo di essere e di porsi in un mondo in profondo cambiamento”.
Sono le finalità delle Caritas, gli organismi caritativi della Chiesa, come li ha tratteggiati oggi Benedetto XVI, ricevendo in Vaticano i partecipanti alliIncontro promosso dalla Caritas Italiana, in occasione del suo 40mo anniversario di fondazione.
Le Caritas, nelle parole del Papa, hanno “un’importante compito educativo nei confronti delle comunità, delle famiglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce. Si tratta di assumere la responsabilità dell’educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testimonianza della carità”.
“Quella dei gesti, dei segni – ha detto poi - è una modalità connaturata alla funzione pedagogica della Caritas. Attraverso i segni concreti, infatti, voi parlate, evangelizzate, educate. Un’opera di carità parla di Dio, annuncia una speranza, induce a porsi domande. Vi auguro di sapere coltivare al meglio la qualità delle opere che avete saputo inventare. Rendetele, per così dire, «parlanti», preoccupandovi soprattutto della motivazione interiore che le anima, e della qualità della testimonianza che da esse promana. Sono opere che nascono dalla fede. Sono opere di Chiesa, espressione dell’attenzione verso chi fa più fatica. Sono azioni pedagogiche, perché aiutano i più poveri a crescere nella loro dignità, le comunità cristiane a camminare nella sequela di Cristo, la società civile ad assumersi coscientemente i propri obblighi”. “L’umile e concreto servizio che la Chiesa offre non vuole sostituire né, tantomeno, assopire la coscienza collettiva e civile. Le si affianca con spirito di sincera collaborazione, nella dovuta autonomia e nella piena coscienza della sussidiarietà”.
Sul piano concreto, e senza mai desistere dal “compito educativo”, si tratta di usare quella “fantasia della carità” della quale parlava Giovanni Paolo II.. Bisogna “ascoltare, osservare, discernere, mettendolo al servizio della vostra missione: l’animazione caritativa dentro le comunità e nei territori. Si tratta di uno stile che rende possibile agire pastoralmente, ma anche perseguire un dialogo profondo e proficuo con i vari ambiti della vita ecclesiale, con le associazioni, i movimenti e con il variegato mondo del volontariato organizzato”.
“L’attenzione al territorio e alla sua animazione suscita, poi, la capacità di leggere l’evolversi della vita delle persone che lo abitano, le difficoltà e le preoccupazioni, ma anche le opportunità e le prospettive. La carità richiede apertura della mente, sguardo ampio, intuizione e previsione, un «cuore che vede» (cfr Enc. Deus caritas est, 25). Rispondere ai bisogni significa non solo dare il pane all’affamato, ma anche lasciarsi interpellare dalle cause per cui è affamato, con lo sguardo di Gesù che sapeva vedere la realtà profonda delle persone che gli si accostavano. È in questa prospettiva che l’oggi interpella il vostro modo di essere animatori e operatori di carità”.
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