La visita al capo dello Stato e il trasferimento a Ouidah lungo la costa degli schiavi
È venuto a riconciliare i popoli di questa terra
dal nostro inviato Mario Ponzi
«Abbi fiducia, Africa, e alzati!». La voce del Papa non sale di tono. Non lo fa mai. Neppure questa volta, mentre nel palazzo presidenziale di Cotonou pronuncia le parole conclusive di un discorso che lascerà il segno. Resta come sempre improntata da quella delicatezza che caratterizza il suo stile pastorale. Tuttavia il suo volto lascia trasparire la passione e l'amore che queste quattro parole suscitano nel suo animo, preoccupato per le sorti dell'umanità, avvilito per il vilipendio continuo contro un popolo che reclama speranza. Una speranza che egli vuole riaccendere consegnando al continente l'Africae munus, l'esortazione post-sinodale firmata al termine della mattinata di sabato 19 novembre.
È ospite del presidente della Repubblica del Benin. Il salone «del popolo» dove si svolge l'incontro è sfarzoso, enorme. Dicono che può contenere sino a tremila persone. Raramente però in questa aula si sono sentite parole così chiare e piene di realismo. Davanti a Benedetto XVI le massime autorità del Paese. Ci sono anche i membri del corpo diplomatico e i rappresentanti delle principali religioni.
Il Papa si rivolge a loro e anche ai responsabili politici ed economici del resto del mondo. Con quella «forza tranquilla» che spesso caratterizza i suoi interventi, declina i mali che affliggono il mondo, l'Africa in particolare. Chiama le cose per nome, senza mezzi termini. Addita responsabili e responsabilità. Raccomanda a tutti: «Non private i vostri popoli della speranza!». Verrebbe da dire: missione compiuta. Ma non è così. Lui stesso lo sa, c'è ancora molto da fare perché quel lento processo che minaccia di sgretolare il mondo -- e del quale l'Africa rappresenta l'immagine forse più drammatica -- è ostico e difficile da arginare. Invoca l'unità al di là delle diversità. Fa l'esempio della mano che tiene unite cinque dita differenti. Ricorda che l'odio è una sconfitta e propone l'immagine della mano tesa come strumento di riconciliazione, capace di far rifiorire la speranza in quel Dio che ama l'uomo e lo vuole unito.
Benedetto XVI è tornato in Africa proprio per rendere presente quel Dio di cui parla e celebra l'amore. Il suo è un messaggio di speranza, semplice e univoco. «È venuto per riconciliare l'Africa con se stessa» titolava questa mattina l'editoriale di «Le Béninois Liberé», a significare quanto il popolo africano abbia ben compreso il disegno del Papa per questo grande continente.
Volti seri lo seguono. Non perdono una battuta, prima di rispondere con un lungo applauso. Se saranno in grado di trasmettere questo messaggio al di là delle mura della sala ospitale per tradurlo in realtà, solo il tempo lo potrà dire. Per il momento mostrano di essere stati toccati in profondità dalle parole del Papa.
Segue l'incontro in privato con il presidente, nello studio presidenziale, al terzo piano del Palais de la Marina, in riva all'oceano Atlantico, mentre in una saletta attigua si svolge un colloquio tra il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, e il ministro degli esteri del Benin, Jean-Marie Ehouzou, al quale partecipano i loro più stretti collaboratori.
Conclusi gli incontri, avviene lo scambio dei doni tra il presidente e il Papa, che lascia in suo ricordo una veduta di Castel Sant'Angelo in mosaico, ispirata a un'opera del pittore veneto del XIX secolo Ippolito Califfi. Il presidente dona al Pontefice una croce pettorale in oro con incisa la scritta: «Benin 2011, pace, giustizia e riconciliazione».
Benedetto XVI firma il libro d'oro dello Stato beninese e saluta i membri del governo e i familiari del presidente. Infine, giusto il tempo di un ultimo saluto con il capo di Stato, che lo accompagna sino alla soglia del Palazzo, poi in macchina per dirigersi a Ouidah, distante una quarantina di chilometri. Una folla imponente accompagna il corteo, in pratica senza soluzione di continuità.
Nel seminario San Gall della storica cittadina il Papa incontra i rappresentanti della vita consacrata e i seminaristi. È il secondo momento vissuto con la comunità ecclesiale locale, dopo quello di ieri pomeriggio, venerdì 18, nella cattedrale di Cotonou, dove si era intrattenuto con i vescovi del Benin e altri presuli di diversi Paesi africani, alla presenza di una piccola rappresentanza di fedeli e di numerose suore.
Lo avevano accolto al canto del Te Deum, in rendimento di grazie per il dono della sua visita. La sosta nella cattedrale dedicata a Notre Dame de Miséricorde ha rappresentato uno di quei momenti mariani che Benedetto XVI desidera sempre vivere durante i suoi viaggi internazionali. E così, dopo l'omaggio reso alle tombe di due antichi pastori dell'arcidiocesi -- monsignor Isidore de Sousa, al quale il popolo beninese ascrive il merito di aver traghettato il Paese dal regime marxista del dopo indipendenza all'epoca democratica, e monsignor Christophe Adimou -- ha invocato, con una speciale preghiera, Maria come madre della misericordia, regina della speranza, della riconciliazione, della pace, e della giustizia. E a lei, «Nostra Signora d'Africa», ha affidato l'intero continente e chiesto di intercedere per l'umanità affinché ottenga «salvezza e pace».
(©L'Osservatore Romano 20 novembre 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento