giovedì 9 dicembre 2010

"Luce del mondo" si va configurando sempre più come un involontario e non enfatizzato spartiacque nel pontificato ratzingeriano (D'Andrea)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Contrordine teocon: «Benedetto XVI non è ciò che pensavamo...»

Ratzinger delude i suoi fan più reazionari: e parte il fuoco amico

Paolo D'Andrea

A meno di tre settimane dalla sua pubblicazione, il libro-intervista Luce del mondo - che raccoglie le conversazioni estive di Benedetto XVI col giornalista tedesco Peter Seewald - si va configurando sempre più come un involontario e non enfatizzato spartiacque nel pontificato ratzingeriano, o per lo meno nella "percezione" pubblica di tale pontificato.
Il dato emerge non tanto dalla valanga di commenti positivi che hanno accolto il volume in tutto il mondo, provenienti anche da intellettuali avvezzi a bacchettare il Papa bavarese.
A dare il senso di una certa soluzione di continuità valgono molto di più i rari accenti critici emersi su singoli passaggi del libro, pubblicato in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana. Se si mettono a fuoco i dettagli, salta subito agli occhi che il fronte dei delusi raccoglie soggetti diversi, ma che finora in vario modo appartenevano tutti alla curva dei fan del Papa regnante. I primi a inciampare sul preservativo sono stati alcuni personaggi cattolici di rilievo nel campo della morale sessuale. Per questi «ferventi ratzingeriani» (così li ha definiti Sandro Magister sul suo sito web, parlando di «fuoco amico» contro Benedetto XVI) le parole del Papa che giustificavano l'uso del profilattico in casi in cui l'atto sessuale espone a rischio di contagi mortali avrebbero introdotto elementi di ambiguità nella dottrina morale cattolica, attestata sulla contrarietà ai metodi contraccettivi artificiali. A esternare i propri mal di pancia sono stati tra gli altri Christine Vollmer, presidente della Alliance for Family con sede a Miami negli Stati Uniti, e il professor Luke Gormally, già direttore del Linacre Centre for Healthcare Ethics di Londra. «Il nostro Santo Padre dovrebbe smettere di parlare di sesso aberrante, e parlare di più di Gesù», ha scritto la prima, mentre il secondo ha denunciato la «confusione» creata dalla pubblicazione dell'intervista papale.
I fustigatori sono ambedue membri della Pontificia Accademia per la vita, e fanno parte della fronda che durante la scorsa primavera ha guidato l'ammutinamento contro l'arcivescovo Rino Fisichella, che a quel tempo presiedeva l'organismo vaticano, accusandolo di lassismo per un articolo dell'Osservatore Romano in cui il monsignore aveva mostrato comprensione pastorale per la penosa vicenda di una bambina brasiliana spinta dai medici ad abortire dopo essere rimasta incinta per le violenze sessuali subite da parte del patrigno.
Anche altre voci hanno espresso lo sconcerto che le parole del Papa hanno seminato nella galassia conservatrice Usa. Secondo Germain Grisez - teologo morale e consulente di diversi vescovi Usa, che già ai tempi di Wojtyla sosteneva la necessità di dogmatizzare il no alla contraccezione artificiale sancito dall'enciclica montiniana Humanae vitae - le parole del Papa «possono essere usate, e sono effettivamente usate, per mettere in dubbio la dottrina cattolica». Nella schiera dei neo-rigoristi allarmati per le possibili conseguenze delle esternazioni papali sulla tenuta della morale sessuale cattolica si è distinto anche lo statunitense Joseph Fessio, ex allievo del professor Ratzinger e editore di Luce del mondo negli Usa. Il gesuita-manager, più che puntare direttamente al Papa suo ex maestro di teologia, ha scaricato la colpa sugli organi vaticani - a partire dall'Osservatore - che con la loro gestione del lancio del libro avrebbero favorito un fraintendimento del pensiero ratzingeriano. Insinuazione peraltro smentita dallo stesso Benedetto XVI, che ha affidato al portavoce Federico Lombardi l'unica interpretazione "autorizzata" delle sue parole. Come si legge nella nota ufficiale pubblicata dallo stesso Lombardi lo scorso 21 settembre, l'intenzione del Papa era proprio quella di evidenziare che in alcune circostanze, come sono quelle vissute da chi si prostituisce avendo contratto il virus dell'Hiv, proprio il ricorso del profilattico per diminuire il pericolo di contagio può rappresentare «un primo atto di responsabilità» e «un primo passo sulla strada verso una sessualità più umana».
Le riserve suscitate dal libro papale in settori sempre pronti a sventolare la bandiera dell'ultra-ortodossia cattolica vanno bel oltre la querelle sul preservativo. Toccano anche questioni dottrinali e ecclesiologiche tutt'altro che trascurabili. Da questo punto di vista è esemplare la stroncatura soft pubblicata da Francesco Colafemmina sul sito "Fides et Forma", di sensibilità neo-intransigente. Dal lungo scritto si intuisce che a suscitare diffidenza in certi ambienti sono i passaggi in cui il Papa riconosce i suoi limiti, anche quelli relativi al suo potere. Ad esempio, la sua relativizzazione del titolo di Vicario di Cristo: Benedetto XVI fa notare che quel titolo in un certo senso non è esclusivo del Papa, perché «nell'annuncio della fede e dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo; Cristo ha affidato la sua parola alla Chiesa». Ora, proprio tale annotazione fa nascere all'animatore dei sito ultracattolico il sospetto di un «depotenziamento del primato petrino» calibrato apposta per piacere «all'occidentale medio, abituato al democratismo». Non lo convincono neanche le parole con cui il Papa commenta senza anatemi le proposte di osservatori anglicani che vorrebbero riconoscere al vescovo di Roma una sorta di primato onorario, che ne facesse in qualche modo il «portavoce» di tutti i cristiani. «Nei fatti - ammette il Papa - il mondo già considera le prese di posizione del Papa sui grandi temi etici come la voce della cristianità. Il Papa stesso è attento, quando affronta certi argomenti, a parlare per i cristiani e a non mettere in risalto in maniera specifica la dimensione cattolica: per quest'ultima vi è un altro posto». Colafemmina chiosa: «Chiaramente ci rendiamo conto della gravità di quest'ultima affermazione. È come se il Papa che parla all'Onu fosse un Papa cristiano, mentre quello che parla dalla loggia del Palazzo Apostolico un Papa cattolico. Ma è dunque possibile scindere la cattolicità del Papa dalla sua cristianità?». Sulla stessa falsariga, non piace neanche che i riconoscimenti tributati nel libro alla liturgia post-conciliare non siano stati accompagnati dai rituali scioglilingua sugli abusi postconciliari e sulle necessarie correzioni di rotta che tanto galvanizzano alcuni cultori della messa tridentina: «Peccato» scrive Colafemmina «che il Papa non faccia alcun riferimento alla tanto auspicata "Riforma della riforma". Di questa non v'è alcuna traccia in tutto il libro intervista!». Le punture di spillo di "Fides et Forma" forse non vanno sopravvalutate. Ma da esse trapela il disappunto di tanti circuiti ecclesiali che avevano coltivato all'ombra del pontificato ratzingeriano progetti di "rivincita". E che, condizionati dal proprio "wishful thinking" su una sconfessione del Concilio Vaticano II, avevano male interpretato anche l'atto di tolleranza con cui il Papa ha riaperto le porte delle chiese alle liturgie pre-conciliari, in sintonia con lo spirito del Concilio Vaticano II.
Del resto, che il libro ignori i cliché che hanno fortemente condizionato gli scenari ecclesiali degli ultimi anni lo rileva anche il sito cattolico online VinoNuovo.it, dove è comparso un encomio di Peter Seewald.
Elogiando le domande dell'intervistatore papale, definite «vere» e «ad ampio raggio», il giornalista Giorgio Bernardelli pone una domanda cattivella: «È solo un caso che Peter Seewald non abiti a Roma e di professione non faccia il vaticanista?». Anche l'annotazione finale è tutt'altro che tenera verso gli stereotipi del circuito vaticanistico: «Nel libro Luce del mondo - nota Bernardelli - si parla molto della questione del relativismo, del tema della salvaguardia della vita, della promozione della famiglia, del compito educativo dei genitori. Ma a me pare proprio che non compaia la ormai mitica espressione "principi non negoziabili"».

© Copyright Il Secolo d'Italia, 9 dicembre 2010

8 commenti:

Alice ha detto...

Non sono molto d'accordo con l'articolo di vino nuovo: Peter Seewald sarà anche lontano dal circuito vaticanista e non userà il termine non-negoziabili, ma non mi è parso proprio un liberal!!! Già dal salmo che mette all'inizio del libro e dall'introduzione "apocalittica" non sembra affatto un peace and love!!
Per il resto è vero che gli attacchi sono arrivati dall'altra parte questa volta.

Stefano78 ha detto...

Questo articolo mostra una cosa chiarissima: di non conoscere nè Colafemmina, nè Fides et forma, che evidentemente è stato letto solo negli ultimi articoli, nè la formazione culturale dell'autore.

Inoltre mostra esattamente quello che presumibilmente "condanna": l'ideologia! La stessa ideologia condannata dal Papa, ovvero quella che mette "uno contro l'altro" due pensieri che non sono per nulla cattolici: uno è quello che idolatra il Vaticano II come superdogma; l'altro quello che respinge ogni possibilità di riforma! Uno che rompe con la continuità eterna della Tradizione (e questa CONTINUITA' non può essere solo proclamata ma DEVE ESSER VISIBILE, altrimenti è puro esercizio cerebrale!), l'altro che rifiuta ogni sviluppo fromale in questa stessa Tradizione.

Ebbene, se il sedicente Vaticanista avesse letto e avesse conosciuto l'autore Francesco Colafemmina, si sarebbe risparmiato di sparare le sue cantonate IDEOLOGICHE, molto "liberal" e poco cattoliche!

Anonimo ha detto...

...non piace neanche che i riconoscimenti tributati nel libro alla liturgia post-conciliare non siano stati accompagnati dai rituali scioglilingua sugli abusi postconciliari...

Consiglio al giornalista di leggersi l'opera omnia di Benedetto XVI sulla liturgia e ripassare gli "scioglilingua" sugli abusi post-conciliari riportati ad esempio in "Rapporto sulla fede" e in "Sale del mondo"

Anonimo ha detto...

Al Secolo ultimamente sono un po' nervosi, e forse è meglio che cambino vaticanista. Eufemia

Alice ha detto...

Il vaticanista sarà nervoso, ma vista la reazione di Colafemmina di oggi, nemmeno lui sta calmo.
:-))

Anonimo ha detto...

E se le parti in causa optassero per un bel bagnetto a base di umiltà che facesse abbassare loro le alucce? Sull'esempio del Santo Padre. Quanto al Secolo cambiare il vaticanista potrebbe essere il primo passo, chiudere i battenti il secondo :-)
Alessia

Anonimo ha detto...

Neppure i commenti alla risposta del focoso (e simpatico) Colafemmina si possono definire tranquilli. Quello che dispiace è che qualcuno deragli pesantemente contro il nostro Papa. Bah, varia umanità a ruota libera.
Alessia

Fabiola ha detto...

Spartiacque del pontificato?
Alle sciocchezze non c'è proprio limite.
Un atto del tutto privato diventerebbe lo spartiacque del pontificato!
Non so se altri l'abbia notato: io ci provo. Mi sembra che in questo testo, nè teologico nè magisteriale, Benedetto dimostri di aver ben capito che ogni parola di un Papa acquista inevitabilmente una flessione "politica", anche se pronunciata da professore o da semplice cristiano. E', tra l'altro, il contenuto dell'autocritica che il Papa fa circa il discorso di Ratisbona. Non recede certo dal contenuto del discorso stesso piuttosto sottolinea che, allora, non aveva capito che un Papa non può limitarsi a tenere una lectio accademica. Insomma mi sembra trattarsi di un testo prudente e misurato. Dal canto mio aspetto il secondo volume del Gesù di Nazaret e, ogni tanto, torno ai testi del cardinal Ratzinger: un po' mi manca.