Torna la guerra fredda col Vaticano, ma la Cina a essere nervosa
Paolo Rodari
Il Vaticano ancora non ha risposto allo” schiaffo” di Pechino: due giorni fa l’assemblea dei cattolici cinesi graditi al governo ha eletto senza consultare Roma il nuovo responsabile del Consiglio dei vescovi cinesi (in sostanza è una conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede). Si tratta di Giuseppe Ma Yinglin, vescovo illecito di Kunming, portato nelle primissime posizioni della chiesa patriottica dopo che la segreteria di stato vaticana aveva criticato con un comunicato stampa Liu Bainian, numero due della stessa associazione patriottica, per la Santa Sede la mens occulta della politica anti romana cinese.
Una prova di forza, dunque, si è consumata sull’asse Roma-Pechino. Una battaglia al termine della quale non è facile trovare un vincitore. Scrive sul Corriere della Sera Alberto Melloni che con la scelta di Ma Yinglin il solco che separa Roma da Pechino “è più largo”. E che, d’un tratto, quella sorta di Ostpolitik inaugurata da Benedetto XVI con la lettera ai cattolici cinesi del 2007 (il Papa chiedeva sostanzialmente riconciliazione e collaborazione tra le due chiese) è andata a farsi benedire.
Le cose stanno così? Difficile rispondere. Di certo c’è che non tutto in Cina sta andando per il verso giusto. Anche la chiesa patriottica, all’apparenza così granitica e indistruttibile, ha mostrato proprio nelle ore dell’elezione di Ma Yinglin crepe che dovrebbero farla preoccupare. Tanto che c’è chi sostiene che in realtà la levata di scudi mostrata dal Vaticano con il comunicato stampa contro Liu Bainian non sia altro che un colpo inferto a chi già si trova sull’orlo del precipizio. All’assemblea, infatti, sono arrivati circa una sessantina di vescovi appartenenti alla chiesa patriottica. La maggioranza dei quali, però, è stata costretta a partecipare con la forza. Nei confronti di molti è stata messa in campo una vera e propria caccia all’uomo, costretti a partecipare alle votazioni contro voglia. Non solo. Di questi circa sessanta, quasi tutti, tranne cinque o sei, hanno chiesto in passato la comunione con Roma. Ciò significa che nella stessa chiesa patriottica la maggioranza dei presuli ha sposato la linea ratzingeriana della riconciliazione, della non belligeranza. Non è difficile immaginare come le votazioni siano avvenute, per chi siano stati fatti votare i vescovi. Infatti, il risultato è stato uno: a essere eletti negli incarichi più importanti sono stati esclusivamente personalità non in comunione con Roma. A dimostrazione di quanto la chiesa patriottica tema chi al proprio interno mostra una posizione diversa dalla propria.
Riporta Asianews che Ma Yinglin, nel suo discorso di chiusura, ha affermato che la nuova leadership dell’associazione patriottica vuole seguire i principi di indipendenza, auto-organizzazione e democrazia per guidare la chiesa e per camminare con la chiesa universale per essere testimoni di Dio. I cattolici, ha aggiunto, “potranno scrivere un nuovo capitolo sul lavoro patriottico della Chiesa cinese”. In realtà la politica è sempre la medesima. Contrapporre alla chiesa clandestina una chiesa di regime, negando all’orgine ogni possibilità di riconciliazione tra le due parti. Riconciliazione significa libertà religiosa, significa tolleranza e democrazia, parole alle quali Pechino non sembra ancora del tutto pronta.
Pubblicato sul Foglio sabato 11 dicembre 2010
© Copyright Il Foglio, 12 dicembre 2010 consultabile online anche qui.
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2 commenti:
Nel titolo tu o Rodari vi siete "babbati" il verbo essere :-)
Alessia
:-))))))
R.
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