domenica 30 gennaio 2011

Il Papa al Collegio etiopico: «Siete segno di speranza per i vostri Paesi d’origine» (Avvenire)

Collegio etiopico, voce di speranza l’incontro

Ieri il Papa ha ricevuto la comunità dell’Istituto che celebra il 150° dalla morte del patrono, san Giustino De Jacobis

«Siete segno di speranza per i vostri Paesi d’origine»

DA ROMA

«Voi siete un segno di speranza, specialmente per la Chiesa nei vostri Paesi di origine».
Lo ha detto ieri Benedetto XVI, ricevendo in udienza la comunità del Pontificio Collegio etiopico in Vaticano, in occasione del 150° anniversario della morte del loro patrono, san Giustino De Jacobis.
Una «luminosa figura», come lo ha defini­to il Papa, che dedicò tutta la sua vita al servizio del popolo abissino, e in particolare alla formazione di preti etiopi nel contesto «universale» della Chiesa. Per questo, ha aggiunto il Pontefice, «sono certo che l’esperienza di comunione vissuta qui a Roma vi aiuterà anche a portare un prezioso contributo alla crescita e alla pacifica convivenza delle vostre amate nazioni».
Giustino infatti, ha spiegato Benedetto XVI, «missionario in Etiopia, nel Tigrai, prima ad Adua e poi a Guala, dove pensò subito a formare preti etiopi, dando vita ad un seminario chiamato 'Collegio dell’Immacolata', con il suo zelante ministero operò instancabilmente perché quella porzione di popolo di Dio ritrovasse il fervore originario della fede, seminata dal primo evangelizzatore, san Frumenzio». In particolare, egli «intuì con lungimiranza che l’attenzione al contesto culturale doveva essere una via privilegiata sulla quale la grazia del Signore avrebbe formato nuove generazioni di cristiani. Imparando la lingua locale e favorendo la plurisecolare tradizione liturgica del rito proprio di quelle comunità, egli si adoperò anche per un’efficace opera ecumenica».
Da qui la riflessione di papa Ratzinger è arrivata a soffermarsi sull’attività del Pontificio Collegio, che sostiene i seminaristi «nel loro impegno di preparazione teologica, spirituale e pastorale ». I sacerdoti formati a Roma, è stata quindi la sua esortazione, una volta rientrati nella comunità d’origine o quando accompagnano i connazionali emigrati all’estero devono «suscitare in ciascuno l’amore a Dio e alla Chiesa». Così, seguendo l’esempio di san Giustino, «per voi sacerdoti e seminaristi è tracciata la via della santità» ha proseguito il Papa; santità che «si colloca quindi nel cuore stesso del mistero ecclesiale ed è la vocazione a cui tutti siamo chiamati ». I santi infatti «non sono un ornamento che riveste la Chiesa dall’esterno, ma sono come i fiori di un albero che rivelano la inesauribile vitalità della linfa che lo percorre».
Nonostante il carattere proprio della vocazione di ciascuno, ha poi osservato Benedetto XVI, «non siamo separati tra di noi; siamo invece solidali in comunione all’interno di un unico organismo spirituale ». Cristo, ha detto ancora, ha «conquistato la nostra vita». E tuttavia, «non sopprime le qualità caratteristiche della persona». Al contrario, ha concluso, «le eleva, le nobilita e, facendole sue, le chiama a servire il suo mistero e la sua opera ».

© Copyright Avvenire, 30 gennaio 2011

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