martedì 15 febbraio 2011

A Mons. Georg Gänswein la laurea «honoris causa» dell'Università per Stranieri di Perugia: Libertà della Chiesa e saggezza della politica italiana (stralci della lectio magistralis)

A monsignor Georg Gänswein la laurea «honoris causa» dell'università per Stranieri di Perugia

Libertà della Chiesa e saggezza della politica italiana

Monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, ha ricevuto la laurea honoris causa in Sistemi di comunicazione nelle relazioni internazionali, conferitagli dall'università per Stranieri di Perugia. La cerimonia si è svolta stamane, martedì 15 febbraio, nell'aula magna di palazzo Gallenga. Pubblichiamo ampi stralci della lectio magistralis tenuta dal prelato sul tema «Relazione tra Chiesa e Stato in Italia. La libertas Ecclesiae nel Concordato del 1929 e nell'Accordo del 1984».

Il Concordato lateranense vige per ben 40 anni: 20 in età fascista e 20 in età democratica. Dalla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo esso comincia a essere contestato pur rimanendo in vigore sino al 1984 sul piano internazionale e al 1985 sul piano interno italiano a seguito della legge di ratifica. Il mutato spirito pubblico, nella comunità ecclesiale, come nella comunità civile con la contestazione sessantottina a tutti gli ordini costituiti e a tutti gli istituti tradizionali, produce una serie di polemiche. A chi invoca l'abrogazione risponde la saggezza della politica italiana di allora con l'avvio del procedimento di revisione, che produce una modificazione del testo del 1929 effettuata con la armonizzazione ai nuovi principi di libertà che lo Stato democratico e la Chiesa hanno nel frattempo posto a fondamento dei rispettivi ordinamenti. La revisione si conclude, dopo vari passaggi parlamentari, il 18 febbraio 1984 quando il cardinale segretario di Stato Agostino Casaroli e il presidente del Consiglio della Repubblica italiana on. Bettino Craxi firmano l'Accordo «di modificazioni al Concordato lateranense» o Accordo di Villa Madama, dal luogo della firma.
Tutte le clausole del Concordato, così come modificato dall'Accordo di Villa Madama, esprimono il riconoscimento fatto nell'ordinamento italiano alla libertas Ecclesiae, cioè alla libertà rivendicata sempre e dovunque dalla Chiesa di poter esercitare senza ostacoli la propria missione, nel pieno rispetto della sua natura e delle proprie funzioni. Le disposizioni generali in materia sono comunque contenute negli articoli 1 e 2, nonché nell'art. 1 del Protocollo addizionale, che sotto questo profilo costituiscono una novità rispetto al passato, giacché il Concordato del 1929 riconosceva solo alcune libertà ecclesiastiche, altre le limitava o le condizionava (per esempio in materia di nomina di vescovi e di parroci), e soprattutto non contemplava un riconoscimento della libertas Ecclesiae nella sua generalità e globalità.
Si è già detto che l'art. 1 ripete il contenuto del primo comma dell'art. 7 della Costituzione italiana, nella parte in cui afferma che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Giova notare come non si tratti di una inutile ripetizione, né di una mera affermazione di principio senza alcun contenuto concreto sul piano del diritto positivo. Perché con quella formula si accoglie in via bilaterale, un principio che per il passato vigeva solo perché racchiuso in una norma unilaterale statale quale l'art. 7 della Costituzione; ma soprattutto perché la norma in esame estende la previsione costituzionale, disponendo che le due Parti contraenti sono impegnate nei loro rapporti al pieno rispetto dell'indipendenza e della sovranità di ciascuna, così come sono impegnate alla reciproca collaborazione per il bene dell'uomo e del Paese.
Si tratta di una norma che non può considerarsi solo come meramente programmatica, ma di immediata precettività, nella misura in cui fa divieto di considerare la Chiesa come funzionale agli interessi dello Stato e lo Stato come «braccio secolare» della Chiesa, imponendo viceversa a entrambi di collaborare -- seppure ciascuno secondo le proprie competenze -- in ragione del fatto che l'una e l'altro sono, ancorché a diverso titolo, a servizio della stessa persona umana e del bene comune. Come è stato giustamente notato, l'importanza della disposizione richiamata si evince in tutta la sua portata considerando che il collegamento tra Stato e Chiesa operato dalla norma in questione non serve solo «a tutelare ciascun ordine nel raggiungimento dei suoi fini ma a perseguire altresì in collaborazione una finalità comune: la promozione dell'uomo».
La norma ricollega i contenuti del primo comma dell'art. 7 della Costituzione al precetto di cui all'art. 2 della stessa legge, che riconosce i diritti fondamentali dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si esplicita la sua personalità. Essa non solo indica la linea pratica di condotta da seguire nello svolgersi delle relazioni tra Stato e Chiesa, ma funziona anche come criterio di interpretazione sia delle disposizioni concordatarie sia di tutte le altre norme dell'ordinamento italiano che coinvolgano il servizio all'uomo da parte di Stato e Chiesa.
Il più pieno e generale riconoscimento della libertas Ecclesiae è peraltro contenuto nei primi due commi dell'art. 2 dell'Accordo del 1984, laddove l'ordinamento giuridico statale assume la Chiesa secondo la sua peculiare natura, struttura e finalità. Ciò comporta di conseguenza la sua disciplina in Italia secondo un diritto speciale, ancorché non privilegiario, e non secondo il mero diritto comune, come sarebbe stata logica conseguenza se lo Stato si fosse limitato a riconoscere alla Chiesa la sola libertà religiosa in senso collettivo.
Per quanto riguardo poi i singoli contenuti di tale libertas, il testo vigente del Concordato appare assai dettagliato e preciso. In particolare è assicurata la libertà della Chiesa sia per quanto attiene alla sua struttura e, quindi, alla sua capacità di organizzarsi giuridicamente senza alcun limite posto dalle leggi dello Stato; sia per quanto attiene alla funzione sua propria, tenendosi nel dovuto conto la distinzione canonistica dei tria munera -- docendi, sanctificandi, regendi -- in cui tale funzione si articola.
Si deve rilevare che la formula generale dell'art. 2 è da collegare alle altre disposizioni del Concordato, nelle quali sono garantite singole libertà ecclesiastiche. Ciò vale in materia munus docendi relativamente alla dichiarazione, alla diffusione e alla difesa del dogma cattolico (art. 2; art. 7, n 4); alla formazione dei christifideles (art. 9; art. 10, n. 3; art. 12); e in particolare alla specifica formazione del clero (art. 10, nn. 12-2).
Quanto rilevato vale pure per il munus sanctificandi, del quale è fatta esplicita menzione nell'art. 2, n. 1, ma che direttamente o indirettamente è oggetto anche in una serie di specifiche previsione normative, come in materia di edifici di culto (art. 5), di riconoscimento agli effetti civili del matrimonio canonico (art. 8), e anche di esonero degli ecclesiastici dal servizio militare (art. 4).
Il munus regendi, infine, oltre al generale riconoscimento della «giurisdizione in materia ecclesiastica» (art. 2, n. 1.), entra in rilievo sia come potere legislativo (per esempio nella disciplina degli enti ecclesiastici e del matrimonio: art. 7, n. 2. e art. 8), sia come potere amministrativo (per esempio nell'erezione degli enti ecclesiastici e nello svolgimento su di essi dei controlli canonici, nel conferimento degli uffici ecclesiastici, negli atti di certificazione, eccetera), sia come potere giudiziario (per esempio per quanto attiene alla giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, ex art. 8, n. 2).
In materia di giurisdizione ecclesiastica si deve rilevare che nel Trattato lateranense ricorre una disposizione che ha una chiara connotazione concordataria. Si tratta di quella contenuta nel capoverso dell'art. 23, per cui hanno piena efficacia giuridica agli effetti civili, senza altre formalità, le sentenze e i provvedimenti dell'autorità ecclesiastica e ufficialmente comunicati alle autorità civili, riguardanti ecclesiastici o religiosi e concernenti materie spirituali e disciplinari. La norma comporta quindi, in maniera in qualche modo analoga a quanto previsto per le decisioni della Corte di giustizia delle Comunità europee, il riconoscimento della forza esecutiva del provvedimento ecclesiastico. Nell'Accordo del 1984 questa disposizione è indirettamente confermata, in ragione del fatto che all'art. 2, lett. c del Protocollo addizionale è detto che «la Santa Sede prende occasione della modificazione del Concordato lateranense per dichiararsi d'accordo, senza pregiudizio dell'ordinamento canonico, con l'interpretazione che lo Stato italiano dà dell'art. 23, secondo comma, del Trattato lateranense secondo la quale gli effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche, previsti da tale disposizione, vanno intesi in armonia con i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani». Sui provvedimenti in questione, pertanto, è inammissibile un sindacato di legittimità o di merito da parte del giudice italiano, che non sia quello diretto ad accertare che la loro eventuale esecuzione in Italia verrebbe a ledere diritti costituzionalmente garantiti. È evidente che qualora si configurasse tale lesione, il provvedimento ecclesiastico non potrebbe avere efficacia nell'ordinamento italiano, ma rimarrebbero integri tutti i suoi effetti nell'ordinamento canonico.
Nel quadro della libertà di organizzazione pienamente riconosciuta alla Chiesa, deve collocarsi -- fatto di rilievo e innovativo -- la valorizzazione della Conferenza episcopale italiana come ulteriore interlocutore della comunità politica (cfr. per esempio l'art. 13 e l'art. 5, lett. b del Protocollo addizionale). Detta valorizzazione, infatti, presuppone il rinnovamento promosso nel diritto costituzionale della Chiesa dal concilio Vaticano II, che ha portato al recupero della Chiesa particolare e del suo ruolo, anche per quanto attiene ai rapporti con la comunità politica.
Il terzo comma dell'art. 2 del vigente concordatario opera un generale riconoscimento di libertà religiosa agli appartenenti alla Chiesa cattolica, venendo così a offrire una garanzia rafforzata della libertà religiosa, sia individuale che collettiva, già oggetto di tutela nella Costituzione. In particolare la norma garantisce «ai cattolici ed alle loro associazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Si deve tuttavia osservare come in singole disposizioni concordatarie vengano disposte specifiche garanzie della libertà religiosa dei cattolici, soprattutto creandosi le condizioni per l'esercizio della libertà religiosa in ambiti qualificanti: si pensi al riconoscimento degli effetti civili al matrimonio canonico (art. 8), che in concreto significa rilevanza per l'ordinamento statale delle scelte di coscienza della persona in materia matrimoniale; ovvero alla riconosciuta facoltà di usufruire dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che concorre ad attualizzare la libertà religiosa come diritto a una formazione che non ignori la dimensione religiosa (art. 9, n. 2).
In materia di libertà di associazione per motivi religiosi, le disposizioni concordatarie relative agli enti ecclesiastici vengono oggi maggiormente incontro, rispetto al passato, alle esigenze di veder riconosciute agli effetti civili associazioni e istituzioni nascenti all'interno dell'ordinamento giuridico canonico. Basti pensare soltanto alla possibilità di riconoscimento -- seppure a determinate condizioni -- degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica di diritto diocesano, che era del tutto escluso dalla normativa del 1929; oppure allo speciale regime dettato per le associazioni pubbliche e private di fedeli che non possono ottenere il riconoscimento come enti ecclesiastici (artt. 8-10; legge 20 maggio 1985, n. 222).
Occorre infine notare come con la revisione del 1984 dal testo del Concordato è venuta meno tutta una serie di norme oggettivamente limitatrici della libertà religiosa a livello individuale: si pensi in particolare alla soppressione della disposizione di cui al terzo comma dell'art. 5 del Concordato lateranense, secondo cui «in ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un insegnamento, in un ufficio o in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico». In alcuni casi le originarie disposizioni del Concordato lateranense sono state oggetto di modifiche rivolte a renderle più consoni alle esigenze di tutela della libertà religiosa: così nel caso dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, con il passaggio dal vecchio sistema dell'esonero dall'insegnamento, che pure era un istituto posto a garanzia della libertà religiosa degli studenti e dei diritti in materia educativa dei genitori, al sistema della facoltatività, cioè della sua libera scelta, certamente più garantista.

(©L'Osservatore Romano - 16 febbraio 2011)

Nessun commento: