Aquileia: la Salvezza in un mosaico
Antonio Paolucci
«Mille anni – dice la Bibbia – agli occhi di Dio sono come il giorno di ieri che è passato come un turno di guardia nella notte». Due «turni di guardia nella notte» accoglieranno oggi il Papa di Roma Benedetto XVI quando entrerà nella basilica di Aquileia perché la chiesa madre del Friuli è antica di diciassette secoli. Una iscrizione latina nel mosaico del pavimento dichiara infatti: «Felice te Teodoro poiché con l’aiuto di Dio Onnipotente e del gregge che ti ha affidato hai potuto costruire questa chiesa e gloriosamente consacrarla».
Come testimonia un documento del 314, Teodoro era vescovo di Aquileia negli anni di Costantino il Grande. Fu lui a volere il vasto tappeto policromo in mosaico, grande 750 metri quadrati, che porta il suo nome e che costituisce il documento iconografico e artistico paleocristiano più importante che esista al mondo. Neppure a Roma c’è qualcosa di simile. È la dimostrazione più eloquente della potenza e della ricchezza di Aquileia negli anni che vedono l’Impero scricchiolare nei suoi gangli periferici per la pressione di nuovi popoli e l’antica cultura declinare e allo stesso tempo trasfigurare nella nuova.
È emozionante vedere emergere nei mosaici del pavimento voluto dal vescovo Teodoro le iconografie cristiane rampollanti con straordinaria freschezza dal vivo tessuto della civiltà figurativa romano-ellenistica. Per chi guarda è come assistere alla nascita di una lingua nuova che trasmette messaggi inauditi e che tuttavia utilizza, per farlo, immagini che vengono da una cultura non negata ma al contrario assorbita e fatta propria perché santificata dalla Rivelazione. È questo, a ben guardare, il grande merito storico della Chiesa romano-cattolica negli anni che vedono diventare cristiano l’Impero disteso su tutta la terra.
«Seguitemi e vi farò pescatori di uomini. Il Regno dei cieli è simile a una gran rete gettata in mare e che ha raccolto ogni genere di pesci. Una volta piena, i pescatori la tirano a riva, poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni in ceste e i cattivi li gettano via» (Mt 4,19,13,47-48). La metafora di Matteo sulla Salvezza e sul Giudizio è bellissima. Il mosaicista del vescovo Teodoro la mette in figura in modo pressoché letterale. Il pescatore guida nell’aperto mare la sua navicella e coadiuvato da putti alati tira a bordo la grande rete. Pesci rappresentati con vivido naturalismo popolano le acque.
Un mosaico come questo avremmo potuto incontrarlo nel triclinio della Coena Trimalchionis o in qualcuna delle ville africane frequentate e descritte da Apuleio. Così il mondo cristiano fagocita e trasfigura caricandole di significati nuovi le forme consegnate dalla tradizione. Anche quando, in un altro comparto musivo, vediamo il serpente marino inghiottire Giona, anche quando l’artista è chiamato a mettere in figura i concetti teologici più complessi.
«Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona di vita...» dice Giovanni nell’Apocalisse (2,10-17) e ancora: «Io sono il pane vivente disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51).
Ed ecco, davanti a noi, nel vasto tappeto musivo del vescovo Teodoro una scena che sembra tratta, nel suo schema iconografico, dalle elargizioni di viveri alla plebe frequentemente rappresentate nei rilievi marmorei e nei litostrati dell’epoca. Noi vediamo una "nike" alata che, come un benefico imperatore di fronte al suo popolo, stringe con una mano la corona della vittoria avendo accanto la cesta colma di pani.
È affascinante entrare nella simbologia paleocristiana figurata nella basilica di Aquileia. L’iconografia del buon pastore è nota e a quest’epoca è già consolidata. Ma l’artista del vescovo Teodoro non si accontenta di riprodurre un modello. Riesce a dare immagine alle sfumature presenti nel testo di Giovanni. «Io sono il buon pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me...» dice l’Evangelista (Gv 10,14, segg.). Quel dettaglio delle pecore che «conoscono» il loro pastore non è sfuggito all’ignoto mosaicista. Infatti, all’iconografia tradizionale di matrice ellenistica del "moscoforo" (un giovane uomo che porta sulle spalle l’agnello o il vitellino) si aggiunge l’immagine di una pecora che, accanto al pastore, lo "guarda" alzando la testa, con una specie di gratitudine, quasi di affetto.
Dentro la basilica di Aquileia Benedetto XVI sarà come su una linea di confine, sulla faglia che ha visto confrontarsi, confliggere e pacificarsi le grandi stagioni della storia.
Il campanile della basilica di Aquileia è come una meridiana che ha segnato, nei secoli, le grandi vicende d’Italia e d’Europa.
Gli Unni di Attila e i Longobardi, Carlo Magno e gli imperatori del Reich germanico, il leone alato di San Marco e le terribili guerre del Novecento, le incursioni turche e i cosacchi dell’armata tedesca. Nulla è stato risparmiato al Friuli. «A peste fame et bello libera nos Domine...»; le antiche parole della rogazione si adattano particolarmente bene alla storia di questo lembo d’Italia. Per fortuna, i mosaici del vescovo Teodoro e i monumenti di Aquileia romana e cristiana sono arrivati fino a noi. A consolazione e a speranza.
© Copyright Avvenire, 7 maggio 2011
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