Preti e seminaristi a ripetizione di latino
GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Più latino per preti e seminaristi.
I vescovi dovranno «mettere i sacerdoti in condizione» di apprendere la lingua di Tertulliano e Sant’Agostino affinché possano celebrare la messa secondo il rito antico. Per «la corretta interpretazione e la retta applicazione» del Motu proprio del luglio 2007, la pontificia commissione «Ecclesia Dei», attraverso l’Istruzione «Universae Ecclesiae», chiede all’episcopato di assicurare al clero una preparazione adeguata alla liturgia preconciliare.
Ciò vale sia per i preti a digiuno di declinazioni e formule secolari sia per i seminaristi(«si dovrà provvedere nei seminari alla formazione dei futuri sacerdoti con lo studio del latino»). Nelle diocesi dove non ci siano preti «idonei», interverrà «Ecclesia Dei», competente anche per i ricorsi dei fedeli contro i vescovi che ostacolano la liberalizzazione del rito antico. La Santa Sede, dunque, azzera le opposte forzature dei lefebvriani anti-Concilio e dei progressisti anti-latino. Potrà celebrare con il messale del 1962 solo chi accetta la riforma liturgica e chi condivide l’intento di unità di Benedetto XVI. Il rito antico può essere usato nei vari sacramenti, anche per ordinare preti (ma solo negli istituti riconosciuti). «Generosa accoglienza» verso quanti chiedono il messale precedente alla riforma liturgica, spiega il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, per garantire «la legittimità e l’effettività dell’uso del messale antico e lo spirito di comunione ecclesiale: la finalità papale di riconciliazione non va ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta».
Non si tratta di un ritorno al passato, osserva il teologo Gianni Gennari, bensì di «un recupero di una ricchezza linguistica, liturgica, estetica, musicale, capace di attirare sia i semplici sia i colti». Aggiunge Gennari: «Un prete che non conosce il latino non può accostarsi a quella “Vulgata” di San Girolamo che ha alimentato la teologia, la filosofia e la preghiera di generazioni di sacerdoti e cristiani. San Tommaso letto in latino ha un sapore diverso da ogni traduzione. Il latino è miniera di conoscenze e spiritualità». Questo documento «non cancella nulla del Concilio e della riforma liturgica: la lingua del popolo resta quella della celebrazione ordinaria, con la possibilità a chi lo desidera del modo “straordinario”», precisa Gennari, secondo il quale «il latino allontana chi non conosce il latino e avvicina chi lo conosce.
E’ fuori strada chi pensa che basti questa istruzione per negare l’eredità riformatrice di Roncalli e Montini».
© Copyright La Stampa, 14 maggio 2011 consultabile online anche qui.
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