mercoledì 11 maggio 2011

Il Papa: La preghiera è “espressione del desiderio che l’uomo ha di Dio” (Sir)

BENEDETTO XVI: ANCHE L’UOMO “DIGITALE” È “HOMO RELIGIOSUS”

La preghiera è “espressione del desiderio che l’uomo ha di Dio”. La definizione è di san Tommaso d’Aquino, “uno dei più grandi teologi della storia”, e il Papa l’ha utilizzata per spiegare come “l’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio.
E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare”. Questa “attrazione verso Dio, che Dio stesso ha posto nell’uomo”, secondo Benedetto XVI “è l’anima della preghiera, che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento, la grazia e persino il peccato di ciascun orante”. La storia dell’uomo ha conosciuto, infatti, “svariate forme di preghiera, diverse modalità d’apertura verso l’Altro e verso l’Oltre, tanto che possiamo riconoscere la preghiera come un’esperienza presente in ogni religione e cultura”.
Parlare di “homo orans”, ha spiegato il Pontefice, significa “tenere presente” che la preghiera “è un atteggiamento interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare parole”. La preghiera, in altre parole, “ha il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona”: per questo “non è facilmente decifrabile e può essere soggetta a fraintendimenti e a mistificazioni”.
“Pregare è difficile”, ha ammesso Benedetto XVI, facendo notare che “nella preghiera, in ogni epoca della storia l’uomo considera se stesso e la sua situazione di fronte a Dio, a partire da Dio e in ordine a Dio, e sperimenta di essere creatura bisognosa di aiuto, incapace di procurarsi da sé il compimento della propria esistenza e della propria speranza”: così il Papa ha spiegato la perenne attualità della preghiera. Soffermandosi su “una delle sue tipiche espressioni”, il “mettersi in ginocchio”, il Papa lo ha definito “un gesto che porta in sé una radicale ambivalenza: posso essere costretto a mettermi in ginocchio, ma posso anche inginocchiarmi spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro”, a partire della mia condizione “di essere debole, bisognoso, peccatore”. In questo “guardare ad un Altro, in questo dirigersi oltre”, per il Papa “sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente”. “Impariamo a sostare maggiormente davanti a Dio – l’esortazione finale del Papa - impariamo a riconoscere nel silenzio, nell’intimo di noi stessi, la sua voce che ci chiama e ci riconduce alla profondità della nostra esistenza, alla fonte della vita, alla sorgente della salvezza, per farci andare oltre il limite della nostra vita e aprirci alla misura di Dio, al rapporto con Lui, che è Infinito Amore”.

© Copyright Sir

1 commento:

Anonimo ha detto...

Dalla secolarizzata Australia arrivano buone notizie. Come questa del giovane teologo morale divenuto vescovo ausiliare di Sidney che vuole modellare la propria azione evangelizzatrice sul Santo Padre
http://www.therecord.com.au/site/index.php?option=com_content&task=view&id=2541&Itemid=27
Alessia