mercoledì 11 maggio 2011

La religione non può mai giustificare la violenza. Lo ribadisce il cardinale Tauran di ritorno dalla visita in Bangladesh (Ponzi)

Lo ribadisce il cardinale Tauran di ritorno dalla visita in Bangladesh

La religione non può mai giustificare la violenza

Mario Ponzi

«Quattro intense giornate vissute in un clima sereno, durante le quali ho constatato che il Bangladesh può essere effettivamente considerato un modello per la pacifica convivenza tra fedeli di religioni diverse». È l’impressione che il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha confidato al nostro giornale al suo rientro dalla visita compiuta a fine aprile nel Paese asiatico. Invitato dalla Conferenza episcopale, il porporato ha colto l’occasione per proseguire in quel cammino che da alcuni anni lo porta a incontrare diverse realtà religiose nei Paesi in cui le comunità cattoliche sono spesso esigue minoranze.
L’incontro con la comunità musulmana del Bangladesh ha dato modo al porporato soprattutto di ribadire che «nessun libro considerato sacro, nessun luogo considerato santo, nessuna festa che deve essere rispettata può mai divenire oggetto di oltraggio da parte di persone di differenti fede e credo. Ancora di più — aggiunge — è oltraggioso attaccare delle persone mentre sono raccolte in preghiera. Azioni così possono solo essere considerate un affronto a Dio stesso. E non hanno nulla a che fare con la religione».
Il cardinale ha espresso questi sentimenti in particolare nel suo intervento alla conferenza sul dialogo tra le religioni organizzata dai vescovi cattolici presso il Bangabandhu International Center di Dhaka, proprio nei giorni della sua permanenza nel Paese. Si è trattato di un incontro «molto importante — spiega — al quale hanno partecipato cinquecento tra leaders, dignitari e rappresentanti di diverse religioni cristiane, il ministro per gli affari religiosi del Bangladesh, il ministro per gli affari culturali e tutti i vescovi cattolici del Paese».
Al centro del dibattito era proprio il dialogo tra le religioni, come fonte di armonia, di unità e di benessere sociale. Nel suo intervento il porporato ha espresso soddisfazione per gli ottimi rapporti che intercorrono tra le diverse religioni, «cosa che ha fatto di questa Nazione un esempio — ha riconosciuto in quell’occasione — di come sia possibile vivere insieme, qualunque sia la propria credenza religiosa, e lavorare insieme per il bene comune». In effetti, in nessuna regione del Paese la religione viene usata come mezzo di discriminazione o come motivo di conflitto, tanto meno di violenza.
Non accade così in altre realtà. È di questi giorni la drammatica recrudescenza degli scontri in Egitto, al Cairo, tra copti e salafiti. «Purtroppo in diverse parti del mondo — ha detto il cardinale Tauran — la religione è accusata di essere la sorgente, la causa di intolleranze e di conflitti. Si tratta invece di accuse fondate solo su pregiudizi. E si cede alla tentazione di considerare la religione solo come un problema. Le soluzioni adottate sono molto semplici: da una parte si tende a ritenere la religione come un fatto privato, togliendola dunque dalla sfera pubblica. Dall’altra, invece, lo Stato impone la sua religione e non lascia spazio per le credenze delle minoranze». Ovviamente, ha precisato il cardinale, nessuna delle due soluzioni fornisce un approccio corretto alla questione. A quanti vorrebbero rendere «invisibile» la religione si oppone il fatto che, per sua stessa natura, si tratta di una «realtà che appartiene all’essere umano»: dunque ha una dimensione pubblica e deve essere visibile nella società. Dunque, se i credenti hanno «il diritto di manifestare la loro fede nei loro luoghi sacri, essi hanno anche il diritto, nel rispetto delle leggi civili, di fare opere di carità e di partecipare al dibattito nazionale sulla dignità della persona umana, di proporre valori essenziali per costruire una società migliore e moralizzare la coscienza nazionale».
A chi invece vuole imporre su tutti una religione dall’alto «va risposto che esiste un diritto fondamentale alla libertà religiosa da rispettare». Concetto, questo, che il Papa ha più volte ribadito. Inoltre «la Chiesa cattolica e Benedetto XVI — ha aggiunto il cardinale — sono convinti che prendersi gioco della pratica religiosa, usare la religione per giustificare la violenza o sfruttare la religione per una convenienza politica, sia un grave abuso nei confronti del più profondo significato della religione stessa. È per questo motivo che la Santa Sede, attraverso il dicastero che io presiedo, non ha esitato a condannare senza ambiguità le notizie sul progetto di bruciare i libri sacri dei nostri fratelli musulmani».
L’episodio al quale si riferisce il porporato risale all’8 settembre scorso, quando il reverendo americano Terry Jones minacciò di bruciare pubblicamente il Corano l’11 settembre nell’anniversario dell’attentato alle Torri gemelle di New York. «L’incontro con la comunità musulmana — ci ha confidato — mi ha permesso di rinnovare il ricordo dell’immediata, ferma e chiara condanna di Benedetto XVI e della Santa Sede di quell’oltraggioso progetto di voler bruciare il Corano, il libro sacro per i nostri fratelli musulmani, non appena ne venimmo a conoscenza». In quell’occasione fu espressa netta e profonda riprovazione «per un gesto considerato oltraggioso e grave», ha ricordato ancora il cardinale nel suo intervento a Dhaka, incoraggiando al tempo stesso i presenti a «proseguire nell’affascinante avventura intrapresa attraverso l’incontro e l’interazione con persone di fede diversa».
Durante la sua permanenza in Bangladesh il cardinale Tauran — accompagnato dal nunzio apostolico arcivescovo Giuseppe Marino, dall’arcivescovo di Dhaka Paulinus Costa e dal verbita Markus Solo Kewuta, officiale del dicastero, responsabile della sezione per l’Asia — ha visitato diversi centri di interesse religioso. Innanzitutto il seminario nazionale maggiore di Dhaka, e quindi la moschea nazionale di Baitul Mukarram, dove ha incontrato il leader dei musulmani. Tra l’altro l’imam lo ha invitato a entrare nella moschea, piena di fedeli in preghiera, e gli ha presentato gli altri leaders. «È stato un momento molto bello — ha poi dichiarato il cardinale — durante il quale, stringendo le mani dei leaders musulmani, ho realmente provato per loro sentimenti di fratellanza».
Particolarmente sentito l’incontro con i vescovi della Conferenza episcopale del Bangladesh e con gli altri responsabili religiosi di una piccola ma vivace comunità. Ne fanno parte 320.000 cattolici assistiti da 290 sacerdoti, 95 religiosi e 1.300 suore.
Prima di ripartire per Roma, il cardinale ha reso visita al presidente Zillur Rahman. Anche in occasione di questo incontro ufficiale ha voluto esprimere la sua soddisfazione nel constatare che il Paese «è un modello unico di comunità e di armonia religiosa».
Prima di congedarsi ha manifestato al capo dello Stato gli auguri e la benedizione del Pontefice per l’intero popolo del Bangladesh.

(©L'Osservatore Romano 11 maggio 2011)

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