L'EDITORIALE
Le parole e la coerenza
Alessandro Russello
In un tempo in cui le parole hanno perso il loro senso etico ed estetico per l’inflazionata superficialità (e strumentalità) con cui vengono pronunciate, quelle dette in modo netto da Papa Ratzinger nella sua visita nel Nordest non solo assumono un significato quasi ancestrale per la purezza e la forza del pulpito ma lanciano una doppia sfida che fa tremare i polsi a credenti e non credenti.
Una doppia sfida ad una terra che ha sì scritto nel proprio Dna il vocabolario valoriale sollecitato da Benedetto XVI ma che nel repentino riscatto e nella risalita verso la civiltà del benessere ha vissuto una progressiva «distrazione » dalla dimensione della spiritualità. Una doppia sfida a un doppio interlocutore: il singolo uomo e la politica nel suo insieme. «Il problema del male - ha detto il Papa nella sua omelia a San Giuliano davanti a 300 mila fedeli - il problema del dolore e della sofferenza, il problema dell’ingiustizia e della sopraffazione, la paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che noi siamo, portano i cristiani di oggi a dire con tristezza: noi speravamo che il Signore ci liberasse dal male, dal dolore, dalla sofferenza, dalla paura, dall’ingiustizia». E il giorno prima, in piazza San Marco a Venezia, ricordando la grande civiltà veneziana «ponte» verso il Mediterraneo e snodo di culture e religioni: «Anche in questa nostra epoca, con le sue nuove prospettive e le sue sfide complesse, essa è chiamata ad assumere importanti responsabilità in ordine alla promozione di una cultura di accoglienza e di condivisione...».
Un «manifesto» dell’inclusività, quello di Benedetto XVI, senza alcun cenno ideologico ma che richiama nella sua assolutezza tutto il tema dell’immigrazione e del suo impatto nel Veneto accogliente e allo stesso tempo insofferente. Il Veneto di ex migranti che per nemesi geopoltica si è ritrovato da neo-eldorado (ex?) a vivere e gestire il più grande sommovimento sociale della contemporaneità. Un Veneto dove le «paure » sottolineate dal pontefice hanno cercato un approdo politico che ha dato forma e potere al partito di maggioranza relativa della regione, ovvero la Lega. Nessuna intenzione di piegare le parole di Ratzinger ad un uso - appunto - strumentale. Ma non si può non dire che la sua cifra e il suo monito sono agli antipodi della «narrazione » leghista e della declinazione di un verbo che molto è fuorché l’accettazione dell’ortodossia cristiana dell’accoglienza. E non è solo per via di quel padanissimo assessore regionale alle Politiche migratorie che in una recente trasmissione televisiva ha detto che sui profughi libici bisognerebbe sparare; dietro o davanti a questo estremismo verbale (che però fa gioco e rende nonostante le prese di distanza del partito), resta un impianto ideologico pienamente legittimato dalle urne ma che difficilmente può candidarsi a rappresentare il cattolicesimo. Quello della Lega resta spesso una forma di cristianesimo pagano fatto di esclusività e di ampolle che mette insieme reclinamento identitario e civiltà della «paura», un cristianesimo «prêt-à-porter» brandito nell’equivoco che vi sia in questo una sorta di legittimazione religiosa.
Lo stesso mantra «Prima i veneti», seppur addolcito nell’ultima formulazione, recitato pre e post elezioni, al di là di un facile ed esplicito (e vincente) marketing, è agli antipodi del monito papale e di una Chiesa che se dovesse stilare una graduatoria metterebbe in cima, più che i «primi», gli «ultimi». «Primi» per sangue e nascita, dice la Lega ispirando il nascente Statuto regionale. «Prima» chi ama, chi non inquina, chi condivide, chi non truffa, chi «testimonia» e chi paga le tasse, direbbe probabilmente chi non usa il crocifisso «contro » ma «per». D’altra parte non siamo così sciocchi da non ritenere che l’impatto dell’immigrazione abbia prodotto un incontro- scontro di civiltà difficilissimo da gestire, consenso compreso. In Veneto il 10 per cento della popolazione è straniera e gli stessi immigrati, se interpellati, sono i primi a dire che bisognerebbe chiudere le frontiere ai nuovi «fratelli » in arrivo. E non solo. Se i sindaci della Lega sono diventati famosi per le ordinanze creative legate alla restrizione delle richieste di «cittadinanza» (non anagrafica ma umana) non solo dei disperati ma anche dei lavoratori regolari, non sono passati inosservati anche i provvedimenti di qualche amministratore di centrosinistra che allo «sceriffismo» ha attinto. Com’è nelle cose pensare che le contraddizioni dei fenomeni migratori spesso si scaricano sulla povera gente, lasciata sola a risolvere con i «nuovi veneti» piccole-grandi battaglie di integrazione dalle quali la politica non di rado si chiama colpevolmente fuori. E ancora, se il governatore Luca Zaia, come riportava ieri un sondaggio di Renato Mannheimer sul Corriere della Sera, è il più votato fra i presidenti di Regione, significa che fra lui e i suoi elettori - che ne riconoscono il lavoro e lo premiano - vi è una notevole empatia. A quale Veneto e a quale Nordest, allora, si è rivolto il Papa quando con fermezza ha chiesto accoglienza e inclusività, quando ha chiesto ai cristiani di riconfermare la propria fede e di non aver paura? Parlava a tutti, ovviamente - «inclusivi» ed «esclusivi» - chiedendo il coraggio della grande sfida che porta a guardare fino in fondo alla propria coscienza e alle proprie contraddizioni, alla propria pancia e al proprio cuore.
Una sfida epocale com’è quella evocata dal passaggio sul neo-materialismo della civiltà complessa, con l’invito a ritrovare una bussola valoriale extra-edonistica. Ha detto, il Papa: «Anche un popolo tradizionalmente cattolico può avvertire in senso negativo, o assimilare quasi inconsciamente, i contraccolpi di una cultura che finisce per insinuare un modo di pensare nel quale viene apertamente rifiutato, o nascostamente ostacolato, il messaggio evangelico». Parole, anche queste, nette, che dal palco di San Giuliano eretto fra terra e acqua sono volate verso la civiltà dei capannoni posandosi sull’enorme fatica di un popolo buono che nel risollevarsi si è fatto anche del male. La seconda grande grande sfida, quella del recupero della spiritualità nella civiltà opulenta, è forse ancor più tremenda ma affascinante della prima perchè è lanciata ad ognuno di noi. Non un ritorno al pauperismo, ma l’abbandono dell’ossessione di un materialismo spogliato dell’umanesimo e per i credenti della fede. Per una civiltà meno «liquida» dove la stessa politica pratichi la virtù della coerenza. Una grande forma di coerenza, ad esempio, la troverebbe la Lega (e il Pdl che per marketing elettorale l’ha assecondata) nel cancellare dallo Statuto regionale nascente quel concetto erroneamente identitario di «Prima i veneti» del quale va molto orgogliosa ma che nulla ha a che vedere con le radici cristiane che rivendica di possedere.
© Copyright Corriere del Veneto, 10 maggio 2011 consultabile online anche qui.
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3 commenti:
Ciao Raffa!
Rob de matt, Odifreddi scrive un saggio che è una lettera a Papa Benedetto sull'ateismo.
Considerando il disprezzo che non manca di dimostrare per cristiani e cristianesimo mi chiedo se non si tratti di un'abile operazione commerciale. Mi viene difficile credere che voglia impegnarsi in un confronto sincero e rispettoso.
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=104I18
Alessia
Ciao Alessia, risulta strano anche a me!
Ricordo perfettamente che, ai tempi del "caso" Sapienza, il Nostro si schiero' con i professori firmatari della famosa lettera fondata su Wikipedia.
Comunque sarebbe bello vedere battagliare il Papa con il prof :-)
R.
Tra l'altro il prof. si smantisce. Che senso ha cercare il confronto con la guida spirituale di quelli che considera dei cretini? Inizia a dubitare dei propri giudizi?
Ci vuole forse convertire? O cosa? Il nostro Benedetto quando era ancora Joseph uscì trionfante da un dibattito con P. FdA, sarebbe assai interessante (e divertente) vederlo cucinarsi con sottile ironia Odifreddi.
Alessia
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