Oggi la Beatificazione del sacerdote tedesco Georg Häfner, martire del nazismo
Un segno di vita da un campo di morte: è questo il significato dell’esistenza di don Georg Häfner, il parroco tedesco morto a Dachau nel 1942 che è stato beatificato oggi nella sua città natale, Würzburg, dove era nato nel 1900. In rappresentanza del Santo Padre, che oggi ha ricordato il sacerdote dopo il Regina Caeli, c’era il prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Amato. Il servizio di Roberta Barbi:
Con un numero marchiato nella carne, il 28 876, e non più con il suo nome fu chiamato don Georg Häfner da quel terribile 12 dicembre 1941 in poi, in cui fu deportato nel lager di Dachau per quella che, con un assurdo eufemismo, veniva definita “custodia protettiva”. La sua unica colpa era la sua stessa missione pastorale e la sua opposizione al nazismo, che oggi sappiamo essere stata ideologia anticristiana oltre che antiumana. Il suo ‘errore’ fatale era di avere come solo obiettivo nella vita di essere amore per gli altri, rivelare amore e donare amore. Di questo il mite parroco di Oberschwarzach restò vittima, come ci ricorda il cardinale Angelo Amato:
“A causa del pesante lavoro manuale e della scarsa nutrizione, don Georg si era ridotto in fin di vita. L'insorgenza, poi, di un’infiammazione purulenta al piede destro e la carenza di cure adeguate avevano ulteriormente infiacchito il suo fisico. Portato troppo tardi in infermeria, vi morì il 20 agosto 1942”.
Don Georg morì “in aerumnis carceris”, cioè a causa dei tormenti subiti durante la prigionia, e per questo Papa Benedetto XVI nel 2009 lo ha proclamato martire. Nei mesi che trascorse all’interno del campo di sterminio, il sacerdote si abbandonò completamente a Dio, amando profondamente la Croce e rivivendo su se stesso la passione di Gesù, perdonando fino in fondo, come Cristo, i suoi aguzzini. “Non vogliamo né condannare né serbare rancore nei confronti di nessuno, vogliamo solo essere buoni verso tutti”, disse poco prima di morire, estrema sintesi del modo in cui visse la propria condanna alla deportazione:
“Autentico testimone della mitezza di Cristo, agnello immolato. Dalle testimonianze apprendiamo che fu preso più volte a pugni e calci e che ripeteva sempre: «Tutto per Cristo Re». Sopportava con pazienza la dura fatica del lavoro quotidiano, della mancanza di cibo e della mancanza di cure per i suoi piedi gonfi. Pregava molto anche per i suoi aguzzini e non si lamentava mai. La sua passione e morte costituiscono una subdola modalità dei moderni persecutori: annientare le vittime sfinendole a poco a poco”.
Simbolo di resistenza religiosa pacifica, che non si abbassò mai a rispondere violenza a violenza, ma rispose ai suoi nemici con il perdono e con la preghiera, suo conforto e sua forza, don Georg, che fu appassionato catechista, sempre impegnato nella formazione dei giovani, può insegnare molto a tutti ancora oggi:
“È un insegnamento di fortezza cristiana. È anche un esempio di sacerdote e di parroco coraggioso, fedele al suo ministero e interamente dedito alla difesa della verità evangelica anche a costo della persecuzione e della morte. La sua beatificazione porti ai sacerdoti della Chiesa in Germania, ma a tutti i sacerdoti della Chiesa, un ulteriore slancio di dedizione sacrificata nella sequela Christi e nella proclamazione del Vangelo”.
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