Il vescovo Adriano Caprioli spiega gli obiettivi del XXV Congresso eucaristico nazionale italiano
Alla riscoperta del ruolo dei laici nella società
Stimolare i laici cristiani a prendere coscienza del loro ruolo nella società: è questo uno degli obiettivi fondamentali dell'assise ecclesiale che si conclude domenica ad Ancona, secondo monsignor Adriano Caprioli, vescovo di Reggio Emilia - Guastalla e presidente del Comitato per il Congresso eucaristico nazionale. Il presule lo spiega in questa intervista al nostro giornale.
In un contesto di basse partecipazioni alle messe domenicali in tutte le parrocchie, che senso ha proporre l'Eucaristia quotidiana?
Bisogna chiarire esattamente cosa vuol dire Eucaristia quotidiana. Il tema del congresso è «Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Nelle sue parole c'è il pane di vita, cioè nella vita quotidiana. Il problema è nel rapporto tra l'efficacia dell'Eucaristia in quanto tale e la vita quotidiana. Ecco in tal senso il tema del congresso di Ancona non cancella ma riprende quello proposto nella precedente edizione a Bari nel 2005, quando si diceva che senza la domenica non possiamo vivere. Qual è il problema? Il rischio? Che anche andando alla messa la domenica ci si dimentica che dobbiamo vivere l'Eucaristia ogni giorno negli ambiti della vita. Ecco da qui la riflessione suddivisa in cinque ambiti che hanno caratterizzato la settima congressuale: Eucaristia per la fragilità, per l'affettività, per lavoro e festa, per l'educazione, per la cittadinanza.
Perché bisogna offrire un supplemento d'anima alla quotidianità?
Perché non viviamo più in una società cristiana. Il iv convegno ecclesiale nazionale svoltosi a Verona nel 2006 ci ha fatto prendere coscienza che si è creata una distanza culturale sempre più a forbice allargata tra la fede cristiana e la mentalità contemporanea in tanti ambiti della vita quotidiana. Il convegno di Verona ha dato un messaggio molto importante perché invece di considerare questa distanza una sorta di condanna, quasi una disgrazia, una fatalità, al contrario la considera un'occasione, un'opportunità, diciamo una grazia per fare scelte prioritarie nella nostra società. L'aspetto fondamentale è che abbiamo bisogno di una Chiesa che testimoni il risorto negli ambiti della vita di ogni giorno.
La messa quotidiana potrebbe essere una nuova forma di catechesi?
Celebrare non è esattamente catechesi, perché sono due linguaggi diversi. Un conto è celebrare, un conto è comunicare e istruire sulla fede. È per questo che noi vescovi insistiamo perché l'iniziazione cristiana non sia solo catechismo, ma deve essere esperienza di festa, di Eucaristia domenicale e poi anche esperienza di carità e di servizio e quindi di preparazione a scelte vocazionali. Il tema parte tutto dall'icona biblica del capitolo vi di Giovanni: «Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Questo testo aiuta a capire che Gesù è pane spezzato, ma è anche e ancor prima, Parola da spezzare. Già sant'Agostino spiegava ai suoi catecumeni che l'Eucaristia è il nostro pane quotidiano, ma dobbiamo riceverla non tanto per saziare il nostro corpo, ma il nostro spirito. Aggiungeva poi che anche la predicazione e le letture che si ascoltano in chiesa sono pane quotidiano.
C'è distanza tra la proposta di una vita spirituale e la realtà quotidiana? Se sì, come si può superare tale distanza?
Questo è il punto più importante del dibattito congressuale, perché l'obiettivo del congresso è quello di smuovere tutta la Chiesa. Esso non è separabile dal cammino delle nostre chiese in Italia e questo cammino di Chiesa è un cammino di tutto il popolo di Dio. Allora è importante riscoprire il tema delle vocazioni e di tutte le vocazioni, in particolare negli ambiti della vita quotidiana, dove sono impegnati tutti i preti, i consacrati, ma soprattutto i laici. Il congresso fondamentalmente vuole riattivare la vocazione secolare cristiana dei laici senza la quale la comunità fatica ad abitare gli spazi della vita quotidiana. Nella Sacramentum caritatis al numero 83 Benedetto XVI parla della vita quotidiana come luogo di coerenza eucaristica in famiglia, nella comunità parrocchiale, ma anche nella vita civile. Il Pontefice auspica coerenza eucaristica nella politica, quando sono in gioco decisioni fondamentali: rispetto della vita umana, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune. È interessante notare che proprio questa tematica ha segnato diverse giornate, in vari momenti e sedi del congresso.
«Signore da chi andremo?»: quale risposta può dare il Congresso a questa domanda?
Prima di dare una risposta il Congresso deve suscitare la domanda, perché alla fine del capitolo vi di Giovanni, l'interrogativo «Signore da chi andremo?» è rivolto da Pietro a Gesù. Certo, nel testo c'è anche la risposta: «Tu solo hai parole di vita eterna». Viviamo in un contesto di pluralismo religioso e non solo per il fenomeno dell'immigrazione, ma per la globalizzazione, la comunicazione massmediale pubblica e senza frontiere che mette soprattutto in luce la domanda che Gesù faceva ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». E le risposte sono tante: chi un profeta, chi Giovanni Battista. A Gesù, però, interessano le risposte dei suoi discepoli: «Voi chi dite che io sia?». Questa è la domanda del Congresso eucaristico sull'unicità singolare di Gesù che deve riflettersi poi nella vita pastorale di una Chiesa, nella catechesi, nella liturgia, nella spiritualità e nella cultura. Credo che il tema della singolarità e centralità del risorto sia il punto di partenza di ogni cammino della Chiesa oggi. (nicola gori)
(©L'Osservatore Romano 11 settembre 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento