Incontro dei capi religiosi di Israele con il Papa: interviste con padre Pizzaballa e mons. Marcuzzo
La pace è anche frutto del dialogo fra le religioni, da qui la responsabilità dei leader religiosi di educare le proprie comunità di fedeli con l’obiettivo di approfondire “la conoscenza reciproca” e “sviluppare un’apertura alla cooperazione”: è questo in sintesi il pensiero espresso ieri da Benedetto XVI alla delegazione del Consiglio dei capi religiosi di Israele ricevuta in udienza. In occasione dell’incontro col Papa, i leader religiosi hanno diffuso una dichiarazione congiunta con la quale si impegnano in particolare a salvaguardare “da ogni forma di violenza e di profanazione” i luoghi di culto della Terra Santa e a “lavorare insieme per società più giusta ed equa”. Sulla portata dell’evento di ieri, Tiziana Campisi ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
R. – Formalmente, quella dal Papa è la restituzione della visita che egli ha fatto, in Terra Santa, a tutti i capi religiosi iq auli hanno appunto voluto, secondo il protocollo orientale, restituire la visita. E’ però anche l’occasione per far vedere che in Terra Santa pur in presenza di problemi, e nonostante tutto quello che viene detto contro i religiosi e le religioni, c’è anche la possibilità di risolvere i problemi dialogando insieme.
D. – Da questo incontro è emersa una dichiarazione comune. E’ un’ulteriore tappa per la convivenza delle diverse religioni in Terra Santa?
R. – Sicuramente è un momento importante e storico, perché molti era la prima volta che incontravano così da vicino il Papa. E’ anche un modo di rafforzare le relazioni interne e di dire qualcosa insieme. Forse sembrano cose un po’ retoriche, però è davvero importante dire qualcosa insieme, come religiosi, nelle nostre diversità.
D. – Questi momenti contribuiscono alla pace?
R. – Questi momenti non stravolgeranno il corso degli eventi in Medio Oriente, ma creano una certa mentalità. Quando i credenti di tutte le comunità presenti in Terra Santa vedono i rispettivi leader religiosi incontrarsi e parlare di pace, questo crea cultura e mentalità. Il mio auspicio è che tali momenti possano non essere solamente delle parentesi, ma possano al contrario segnare, poco alla volta, lo spirito di tutti i leader religiosi, anche quelli legati al territorio e non solo quelli degli “alti palazzi”, in modo che la pace non sia soltanto un modo di dire ma anche una cultura che si insegna a tutti i livelli.
Il Consiglio dei capi religiosi di Israele è nato nel 2007 per promuovere la coscienza della necessità del dialogo interreligioso e della cooperazione in Terra Santa. Ma quale il suo impegno concreto? Lo spiega mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele:
R. – La natura di questo Consiglio in Israele è appunto quella di mettere insieme tutti quelli che si ritrovano ad affrontare gli stessi problemi per cercare di trovare, a partire dalla nostra fede, una soluzione. La missione è la pace. Questo Consiglio cerca di mettere insieme tutto l’apporto specifico che ogni comunità può dare per il raggiungimento della pace. La cosa più importante, qui, è l’aspetto Santo Padre, che è poi proprio lo specifico di questo incontro. Sono venuti perché vedono in lui una voce profetica che può offrire veramente una soluzione ai problemi, dare un aiuto sostanziale e soprattutto per mostrare che vogliamo seguire quello che ci ha detto e che non vogliamo soltanto ascoltarlo, soltanto celebrare o accontentarci di momenti o parole convenzionali. Vogliamo davvero mettere in pratica quanto lui ci ha detto e quanto ci siamo impegnati a vivere.
D. – I leader religiosi riusciranno a portare, tra la gente, i propositi di oggi?
R. – E’ proprio questo aspetto a far parte dei nostri programmi. Portare tutto questo tra la gente. E’ stato detto che vogliamo che il parroco, la domenica, dica ai suoi fedeli: “Amate i musulmani, amate gli ebrei”. Inoltre, è stato detto anche che vogliamo che il musulmano, l’imam, nella propria moschea, il venerdì dica ai suoi fedeli: “Amate i cristiani e amate gli ebrei” e che il rabbino, il sabato, nel suo tempio e nella sua sinagoga dica ai suoi fedeli: “Amate tutti gli altri, musulmani e cristiani”. Vogliamo arrivare a far scendere il livello della pratica religiosa soprattutto nelle scuole ma anche della vita quotidiana. Questo fa parte della dichiarazione che abbiamo letto e che speriamo di vivere. (vv)
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