mercoledì 5 gennaio 2011

Con le lacrime agli occhi. Intervista al vescovo copto-ortodosso Anba Barnaba El Soriani (Sir)

Con le lacrime agli occhi

Intervista al vescovo copto-ortodosso Anba Barnaba El Soriani

C'è allarme nella comunità copta in Italia e in Europa, a pochi giorni dall’attentato contro una chiesa di Alessandria d'Egitto che ha provocato 23 morti e decine di feriti. Su un sito internet vicino ad Al Qaeda, il 2 dicembre scorso, era apparsa una lista con 50 chiese copte in Egitto ed altri luoghi di culto in Francia, Germania, Olanda e Gran Bretagna, accompagnata da un messaggio che annunciava attacchi bomba nel periodo di Natale. Per questo motivo la chiesa copto-ortodossa si appresta a vivere il giorno di Natale, 7 gennaio, tra misure di sicurezza rafforzate. In Italia, dove la comunità copta è stimata in circa 50 mila persone, mons. Anba Barnaba El Soriani, vescovo copto-ortodosso della diocesi di Torino, Roma e dintorni (Firenze, Reggio Emilia, Bologna e Genova), ha chiesto al ministero dell’Interno, come anche alla Questura di Roma e ai diversi commissariati, di “rafforzare le misure di sicurezza davanti le chiese” in occasione del Natale. Il Sir ha intervistato mons. El Soriani nel giorno in cui la comunità copta si è riunita a Torino per manifestare solidarietà alle vittime della strage di Alessandria a Capodanno.

Mons. El Soriani, come vi apprestate a vivere questo Natale?

“Celebreremo con le lacrime agli occhi. Non sarà un Natale di festa. Ricorderemo i nostri fratelli uccisi. Abbiamo contattato la Questura di Roma e vari commissariati di polizia, con il Ministero dell’Interno, per chiedere loro più sicurezza davanti le nostre Chiese. Le minacce dei terroristi, come ripeto, non si limitano solo all’Egitto ma riguardano anche diversi Paesi esteri. Nell’attesa abbiamo deciso di scendere in piazza a Torino il 4 gennaio (a Roma il 9 gennaio, ndr) per gridare ‘basta!’ e ribadire la nostra solidarietà ai nostri fratelli egiziani vittime di questo ennesimo attentato terroristico. Purtroppo siamo abituati a questa violenza, basti solo dire che negli ultimi 30 anni i copti in Egitto hanno subito 160 attentati. L’anno scorso, il 6 gennaio la notte di Natale, a Nag Hammadi, sei nostri fedeli sono stati uccisi. Lo stesso è accaduto a Capodanno di 10 anni fa, quando nel piccolo villaggio di Alqosh, morirono in 21, ed ora la strage di Alessandria con 23 morti, e il bilancio sembra destinato a salire ancora”.

L’atto di terrore ha provocato proteste cristiane e diversi incidenti fortemente criticati da Papa Shenouda III, patriarca copto d’Egitto, che ha invitato alla calma i suoi fedeli ribadendo che la violenza non è il metodo dei copti…

“Vero. I copti sono persone pacifiche e non inclini alla violenza, come riconosciuto dallo stesso capo della polizia. Gli appelli alla calma di papa Shenouda III sono dovuti al fatto che tra i manifestanti cristiani si sono infiltrate persone non appartenenti alla comunità copta con lo scopo di provocare incidenti con la polizia”.

Quali sono le condizioni dei cristiani in Egitto?

“Innanzitutto non riusciamo a spiegarci il silenzio delle Istituzioni, del Governo, intorno a questi fatti di sangue. Ed anche la giustizia sembra non fare il suo giusto corso: la sentenza del tribunale per l’attentato di Alqosh di dieci anni fa, non ha previsto condanne per nessuno degli imputati, nemmeno un giorno di detenzione. Per i fatti di Nag Hammadi del 2010 fino ad oggi non ci sono state condanne. Perché il Governo non ha fatto nulla? Del rischio di attacchi da parte di Al Qaeda si sapeva da almeno 20 giorni prima. Perché non sono state prese le necessarie misure di sicurezza, specie nella chiesa di Alessandria che pure circa 4 anni prima aveva visto al suo interno l’omicidio di un fedele da parte di una persona giudicata poi dalle autorità locali affetta da disturbi mentali? Che male abbiamo fatto?”.

Esiste una risposta a questa sua domanda? Al perché di tutto questo sangue?

“Credo che questo è il contributo che i cristiani devono pagare in Medio Oriente. Nel recente Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente in Vaticano, cui ho partecipato come delegato fraterno, tutti i vescovi hanno denunciato l’emigrazione di cristiani da questa regione. Solo In Iraq la comunità cristiana si è ormai assottigliata a pochissime centinaia di migliaia di fedeli, rispetto all’oltre un milione che era prima del 2003. Sono pienamente d’accordo con Benedetto XVI quando parlava, lo scorso 20 dicembre, di cristianofobia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

Il Sinodo ha insistito anche sulla necessità di dialogare con i musulmani. In una situazione come quella egiziana che contributo può dare il dialogo interreligioso?

“Il dialogo da solo non basta, le parole non bastano. A queste devono seguire i fatti. Ci sono moschee in Egitto dove si predica l’odio verso i cristiani. Ci sono media che ogni giorno non fanno altro che dire che le chiese sono piene di armi. Ma quali armi! Nelle scuole si insegna ai bambini ad odiare i cristiani, a non parlare o avere relazioni con loro. Questo è il quadro, cosa altro dire? Se mettiamo insieme tutti questi elementi la strage di Capodanno trova una sua collocazione”.

Cosa vi aspettate, invece, dalla comunità internazionale?

“Chiediamo alla comunità internazionale di trovare il modo di garantire alle minoranze, come la copta in Egitto, il diritto a vivere in pace e in sicurezza nei propri Paesi. I copti sono persone che hanno a cuore la sorte della loro nazione e non è giusto che patiscano simili sofferenze”.

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1 commento:

laura ha detto...

Forse non ci rendiamo conto del clima in cui vivono i copti in questi giorin e tanti cirstiani perseguitati. Cerchiamo almeno di essere vicini con la preghiera