mercoledì 5 gennaio 2011

Faysal Hijazen, parroco di Ramallah: «Dietro la diaspora dei cristiani? La paura, ma anche crisi e disoccupazione» (Vannucci)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Medio Oriente - Per Faysal Hijazen, parroco di Ramallah, è soprattutto la mancanza di un lavoro e di una pensione a spingere all'emigrazione

«Dietro la diaspora dei cristiani? La paura, ma anche crisi e disoccupazione»

Davide Vannucci

Faysal Hijazen ha quarantanove anni, è giordano, ha insegnato teologia morale ed è stato il vicerettore del seminario cattolico di Beit Jala, l’unica struttura di questo tipo in tutto il Medio Oriente. Adesso è il parroco di Ramallah, la capitale della Cisgiordania, sede dell’Autorità nazionale palestinese. Faysal è un religioso e un intellettuale, che vive quotidianamente la condizione di minoranza della comunità cristiana.

Dottor Hijazen, lei è stato protagonista di una veglia di preghiera dopo l’attentato alla chiesa cattolico siriana di Bagdad del 31 ottobre scorso. C’è poca attenzione da parte dell’opinione pubblica occidentale alla condizione dei cristiani in Medio Oriente?

Il problema della condizione cristiana in Medio Oriente va inserito all’interno di un preciso contesto politico, a partire dalla questione israelo-palestinese. Al di là dell’attenzione dell’opinione pubblica occidentale, credo che la situazione evolverà in parallelo alla situazione geopolitica. Noi facciamo ogni giorno la nostra parte, con la mediazione e con la preghiera. Dopo l’attentato di Bagdad c’è stato un momento di solidarietà molto partecipato da parte dell’intera comunità di Ramallah. Però è indispensabile che, anche a livello interreligioso, certe mentalità e certe strutture cambino. Per sfruttare al massimo un’occasione unica come il sinodo.

Si riferisce al recente sinodo promosso da papa Benedetto XVI sul Medio Oriente?

Sì, certo. In questo processo tutte le Chiese della regione devono sentirsi coinvolte. Un cambiamento è possibile solo se si sviluppa un dialogo tra tutte le parti, in virtù di progetti concreti. Solo allora si potrà dire che il sinodo di ottobre sarà stato fonte di vita nuova per i cristiani del Medio Oriente.

Una minoranza sempre più piccola...

In 40 anni la percentuale dei cristiani in Terra Santa è scesa del venti per cento. In alcune città, come Betlemme, eravamo la maggioranza, adesso siamo circa il quindici per cento. Ramallah una volta era considerata “città cristiana”, con una comunità di circa 50mila fedeli. Adesso siamo meno di diecimila. Si vive nella precarietà più assoluta. Le persone sentono ogni giorno sulla propria pelle questa situazione di incertezza.

Qual è il dovere di questa minoranza?

Non dobbiamo avere paura di parlare del cristianesimo come minoranza, ma testimoniare, alla luce del sole, la nostra fede in Dio. Come discepoli di Cristo dobbiamo impegnarci coscientemente ed attivamente per una società più grande, dialogare con le altre comunità. Noi siamo cristiani e non vogliamo vivere nelle catacombe. La nostra specificità è quella di abitare assieme a tutti gli altri fratelli, sia musulmani che ebrei.

Lei parla di dialogo tra le comunità. Però le immagini di Alessandria sono ancora sotto gli occhi di tutti. I rapporti tra cristianesimo e Islam sono piuttosto tesi in molte realtà del Medio Oriente.

Qui in Palestina la situazione è diversa. Noi siamo cristiani arabi, loro musulmani arabi. Siamo della stessa famiglia. Le nostre scuole sono aperte a tutti e vengono frequentate anche da bambini islamici. Direi che i rapporti con questa comunità sono buoni.

Fate anche opera di proselitismo?

Direttamente no. Abbiamo molto rispetto per la fede che ogni essere umano professa. Inoltre gli islamici convertiti rischiano la condanna a morte e sono costretti ad emigrare. Noi evangelizziamo con le opere, non con la parola.

In condizioni di sicurezza precaria...

In uno stato di insicurezza totale. Ecco perché è così difficile operare in Terra Santa. La nostra comunità cerca di sopravvivere, ma la tentazione dell’emigrazione, soprattutto per i più giovani, è forte.

Non c’è lavoro?

Sicurezza a parte, quello del lavoro è il problema più sentito. I disoccupati sono oltre il 35 per cento della popolazione. L’economia non decolla, mancano le condizioni di base.
Potete contare sull’appoggio di un sistema bancario, ci sono attività di microcredito?
Purtroppo no. Il sistema bancario interviene solo in condizioni di sicurezza. Eppure le persone non si scoraggiano e vanno avanti. Qualcosa sta progressivamente cambiando. Il governo sta investendo molto sulle infrastrutture, sulla viabilità, sulle condotte idriche, l’edilizia è in crescita e questo è un ammortizzatore sociale non indifferente. Anche nel campo dell’artigianato c’è una ripresa lenta, ma costante. Tutto dipende dalla stabilità politica.

Lei ha parlato della ricorrente tentazione di emigrare. Papa Benedetto XVI ha detto in più di un’occasione che il compito dei cristiani in Terra Santa è quello di “rimanere”. Come è possibile contrastare questo fenomeno?

L’emigrazione è la conseguenza dell’assenza di lavoro, di assistenza sanitaria e, non in ultimo, di una pensione al termine del percorso lavorativo. Abbiamo il dovere di interrogarci su questa mancanza. Le faccio solo un esempio: nelle nostre scuole diamo occupazione a circa cinquecento persone. Ogni mese tutti ricevono il loro stipendio, ma non hanno alcun contributo pensionistico. Noi, per ogni anno lavorativo, diamo loro una mensilità. Ma questo non è sufficiente. Ecco, bisogna trovare una soluzione per poter pagare i contributi a tutte queste persone. Solo avendo questo tipo di sicurezze i cristiani non abbandoneranno la loro terra. Ma gli elementi per sperare non mancano. Ne sottolineo due. Malgrado la vita quotidiana sia difficile, anche tra i cristiani si continuano a fare tanti figli. E poi c’è la questione delle vocazioni.

In Occidente c’è una grave crisi al riguardo...

Qui è l’esatto contrario. Sia il seminario maggiore che quello minore sono ricchi di giovani che hanno intrapreso il cammino vocazionale. Proprio nei giorni scorsi sono stati ordinati tre diaconi. Addirittura fatichiamo ad accogliere tutti gli aspiranti seminaristi. D’altra parte, evangelizzare in queste terre è un’impresa difficile, ma il suo richiamo è assolutamente unico.

© Copyright Europa, 4 gennaio 2011 consultabile online anche qui.

Nessun commento: