IL PAPA AI GIUDICI DELLA ROTA ROMANA SUL MATRIMONIO
Un grande tesoro da custodire in pienezza
GIANFRANCO MARCELLI
Quante verità, quante raccomandazioni, quanti insegnamenti si trovano ogni giorno a dover trasmettere i sacerdoti cattolici che, nelle centinaia di migliaia di parrocchie sparse per i cinque continenti, accolgono le coppie di fidanzati desiderosi di presentarsi all’altare per contrarre matrimonio davanti a Dio e alla Chiesa. E quanti aspetti delle personalità, quante intenzioni manifestate con la parola e gli atteggiamenti, quante aspettative di vita e di felicità coltivati insieme devono sforzarsi di intuire e valutare, negli incontri che di solito conducono con i candidati alle nozze. Sempre per orientare e guidare. Certamente per istruire e, perché no, anche per ammonire sulla straordinaria importanza della scelta che i futuri sposi si accingono a compiere.
Diciamo la verità: non è un compito facile. Tanto meno oggi e tanto più in contesti sociali come quelli del nostro Occidente super secolarizzato, dove la corsa spasmodica all’affermazione del proprio io, e la coscienza affievolita del bene comune (cominciando proprio dal bene dell’altro o dell’altra), rendono sempre più arduo trasmettere un bagaglio di valori così radicali e impegnativi come quelli racchiusi nel matrimonio cristiano. A cominciare proprio dall’unicità e dall’indissolubilità.
Ebbene, ieri il Papa, incontrando come fa a ogni inizio d’anno i componenti del Tribunale della Rota Romana, è sembrato quasi caricare i pastori di un ulteriore onere: li ha invitati a non trascurare, nella loro missione, l’aspetto giuridico dell’unione coniugale, ossia l’assunzione, nel momento del fatidico 'sì', di un complesso di responsabilità e di doveri ai quali corrispondono precise statuizioni della legge canonica. Un aggravio solo apparente, in verità, perché già in passato, e più volte, Benedetto XVI ha ricordato che nel matrimonio «il diritto si intreccia davvero con la vita e l’amore». E ora di nuovo ha sottolineato che il cammino di preparazione alle nozze deve predisporre i coniugi a contrarre «un vincolo di giustizia e di amore». Ma allora: è forse tutta una questione di leggi e di carte bollate? E i preti devono per caso armarsi di codici e pandette, brandendoli minacciosamente davanti ai giovani che li interpellano? Nulla di tutto questo, ovviamente. Preparare alle nozze resta un’occasione impareggiabile di evangelizzazione e i corsi per i fidanzati non potranno mai ridursi a somministrazione di articoli e commi. Si tratta invece di sfruttare tutti i mezzi a disposizione per consegnare ai futuri sposi, nella sua integrità, il patrimonio racchiuso nel sacramento di cui la Chiesa non per caso li dichiara ministri. E del resto, quello della responsabilizzazione non è forse uno dei criteri che da sempre caratterizzano ogni funzione educativa? Non a caso, sempre nell’allocuzione di ieri, il Papa ha ricordato che «nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale». E che in astratto non esiste neppure un «diritto a sposarsi», a fronte del quale i pastori devono limitarsi a una pura verifica formale, che non guardi al «contenuto effettivo dell’unione» e non entri nella sfera delle convinzioni riguardo agli obblighi che vengono assunti. Perché poi, al diffondersi di tendenze lassiste, non può che fare riscontro la crescita delle crisi e delle rotture coniugali. Con annessa corsa proprio ai tribunali ecclesiastici per cercare incongrue scappatoie.
In ultima analisi, la preoccupazione del Santo Padre resta quella di alimentare la fede dei battezzati: nelle sue parole, di «aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla verità su se stessa e sulla propria vocazione umana». E la pienezza della vita cristiana, si sa, sta nel riuscire a donarsi, a immagine di Colui che è sposo di tutti noi. In questo, il matrimonio è una chance di santificazione che vale la pena di offrire a tutto tondo, senza surrogati né sconti.
© Copyright Avvenire, 23 gennaio 2011
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