mercoledì 12 gennaio 2011

Il Papa leva alta la sua voce contro la persecuzione religiosa in atto in gran parte del nostro mondo. Aggiunge coraggiosamente due cose che spesso si preferisce ignorare (Buttiglione)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

L’Occidente non può continuare a odiarsi

di Rocco Buttiglione

[12 gennaio 2011]

Il Papa leva alta la sua voce contro la persecuzione religiosa in atto in gran parte del nostro mondo. Aggiunge coraggiosamente due cose che spesso si preferisce ignorare.
La prima è che l'indignazione contro la persecuzione, specialmente nei mezzi di comunicazione occidentali, non è né universale né equanime.
Alcune persecuzioni sembrano essere più gravi di altre e (aggiungiamo noi) verso alcuni persecutori c'è talvolta una specie di complesso di inferiorità. Le persecuzioni contro i cristiani non suscitano eguale riprovazione di quelle contro altre religioni. I cristiani vengono perseguitati in molti paesi perché sono ritenuti particolarmente vicini alle nazioni dell'Occidente che lì sono globalmente percepite come cristiane.
Le nazioni occidentali fanno invece fatica a dare loro solidarietà perché, come ha detto una volta il cardinale Ratzinger, l'Occidente odia se stesso almeno con metà della propria anima.
Le testimonianze dei cristiani che muoiono per la loro fede ci inquietano e ci imbarazzano, ci costringono a domandarci in che cosa crediamo noi e se noi ancora crediamo in qualcosa. Loro muoiono infatti per gridare una fede la cui voce noi vorremmo sacrificare nel nostro cuore. Naturalmente questo quadro non riflette tutta la cultura occidentali ma alcuni suoi settori, probabilmente minoritari nel popolo ma egemoni nella comunicazione di massa. Esiste per fortuna un inizio di reazione nelle nostre nazioni. Ne è testimonianza la manifestazione di domenica in Piazza San Pietro. Ne è testimonianza anche la risoluzione approvata dalla Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa nello scorso ottobre che protegge il diritto all'obiezione di coscienza davanti all'aborto. Siamo particolarmente grati al Santo Padre per aver pubblicamente ricordato e lodato quel documento che è in buona parte il risultato dell'impegno di uno di noi, l'onorevole Luca Volonté, che è capogruppo del gruppo Partito Popolare Europeo in quella Assemblea Parlamentare. Qualcosa sta cambiando e può cambiare se ci si impegna con decisione e convinzione in una politica che sia anche, contemporaneamente, testimonianza ai valori.
La seconda cosa inusuale che il Papa ha avuto il coraggio di dire è che si sta espropriando il diritto che le famiglie hanno di educare.
È la famiglia a non lo Stato il primo titolare del diritto di educare. Si tratta di una polemica che ha una lunga storia ma il Papa la riprende oggi con accenti nuovi. Una volta lo Stato nazionalizzava l'istruzione ed educava secondo una sua visione e secondo una sua moralità. Esisteva una etica laica, diversa da quella cristiana ma non priva di un suo rigore. Quella etica riconosceva, per esempio, che la sfera della sessualità ha una sua intrinseca moralità, ed imparare il controllo degli istinti per porre la forza della sessualità al servizio di uno sviluppo umano integrale è parte necessaria di un processo educativo. Oggi quella etica laica è venuta meno e, davanti alla intera sfera della sessualità, la linea dominante è che bisogna liberare l'istinto e l'istinto non può e non deve essere controllato moralmente. Il risultato è che nei programmi scolastici si diffonde una "educazione sessuale" che non è una educazione all'amore e non prepara alla formazione di famiglie e alla generazione ed educazione dei figli. Il mo nopolio statale della istruzione diventa progressivamente il veicolo del relativismo etico e di una visione ideologica e libertina della sessualità che contraddice il sistema di valori su cui si fonda la famiglia e che la famiglia si sforza di trasmettere ai propri figli. Il Papa, ovviamente, non vuole che della sessualità non si parli o che i giovani non vengano aiutati a intendere i processi biologici in atto nel loro corpo e che certamente li interpellano e li inquietano.
Il problema è solo che la sessualità è insieme e contemporaneamente un processo biologico ed un valore. Il modo in cui si insegna l'uno è strettamente legato con il modo in cui si insegna l'altro. Il sesso (l'amore) lega valori vitali/corporei e valori spirituali. Se esso viene insegnato in modo semplicemente biologico/naturalistico non ci si colloca su di una posizione di neutralità ma si sceglie una precisa visione unilaterale della sessualità. Qui il Papa tocca un nervo scoperto della nostra società. La separazione fra sesso ed amore e (successivamente ed inevitabilmente) la morte dell'amore sta alla radi- moce della crisi della famiglia e dei fenomeni che la accompagnano come la caduta della natalità, la rottura del rapporto fra le generazioni, la emergenza educativa e l'abbandono degli anziani. Essa è, d'altro canto, un cardine della postmodernità che è rigorosamente vietato mettere in discussione. Questa grande provocazione del Papa chiama ciascuno ad assumere la propria responsabilità. Noi non ci sottrarremo alla nostra.

© Copyright Liberal, 12 gennaio 2011 consultabile online anche qui.

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