Prof. ebreo spiega che il nemico del dialogo in Egitto è la secolarizzazione
di Mattia Ferraresi
L’attentato alla chiesa copta dei Santi di Alessandria, in Egitto, eccede i limiti della contingenza terroristica e rimette sul tavolo i nodi irrisolti della convivenza fra religioni nel mondo arabo, riproponendo, dall’altra parte, l’enigma stesso dell’identità dell’occidente. Un tema a cui l’ebreo Joseph Weiler, professore di Diritto alla New York University, ha dedicato una carriera, in costante ricognizione degli elementi giudaico-cristiani che hanno informato l’essenza della storia europea.
Weiler concorda con Benedetto XVI quando dice che l’attentato di Alessandria “offende Dio e l’umanità intera”. “Da non cristiano – dice Weiler al Foglio – sono impressionato dalle parole del Papa.
L’attacco di Alessandria non è stato perpetrato contro un oppressore e non era diretto a un obiettivo politico. E nemmeno voleva colpire un gruppo che in qualche modo poteva minacciare i terroristi. E’ un attacco indiscriminato, con motivazioni religiose, basato semplicemente sul modo in cui le vittime onoravanao il Dio di Abramo, di Isacco, di Ismaele e Giacobbe. Il Papa ha ragione: è ovviamente un’offesa contro Dio – viene offeso il nome di Dio, Allah, in pubblico – ed è un’offesa all’umanità intera, inclusi i non credenti. E dire la verità – tratto distintivo del Papa, che non fa diplomazia religiosa – non è affatto contro il dialogo: quale dialogo ci può essere se i soggetti annacquano le loro differenze?”.
Di recente Weiler è stato in Egitto, al Cairo, invitato da un musulmano, il professore di lingua araba Wael Farouq, a un evento organizzato da islamici e cattolici, il Meeting del Cairo. Miscela apparentemente improbabile che ha dato un volto pubblico a un dialogo fra culture che senza troppe fanfare va avanti da anni. “Il meeting del Cairo – continua Weiler – è stato particolarmente commovente per due motivi: primo per una particolare tensione verso un vero contatto umano, al di là delle formule paludate su pace e fratellanza. Il secondo motivo è stato ascoltare l’intervento di un cattolico italiano: nel cuore del Cairo, in una forma pubblica, ha esposto con cordialità ma in modo fermo il suo messaggio, basato sulla sua fede in Cristo. La cosa più impressionante non è soltanto che abbia potuto fare un discorso del genere in pubblico, ma che gli ospiti e l’uditorio, costituito in gran parte da musulmani, abbiano considerato il suo approccio come normale e giusto”.
Le tensioni dell’ultima settimana in Egitto illustrano un pregiudizio che grava sul dialogo fra est e ovest, cioè che “noi consideriamo la religione ‘conflittogena’, come se fosse la fonte dell’inimicizia, dei sospetti e della violenza”, dice Weiler, che s’avventura in un ribaltamento del paradigma paraschmidtiano del confiltto: “Per questo sospetto cerchiamo di mettere da parte la religione per trovare un altro terreno comune.
Ma questo è un modello che a livello profondo non potrà mai reggere. Quello che si dovrebbe fare è cercare un terreno comune senza mettere da parte le differenze ma prendendo in considerazione l’importanza del fattore religioso per la vita di così tante persone. L’errore è quello di secolarizzare noi stessi e i nostri interlocutori, mentre ciò che serve è il metodo opposto: un incontro fra comunità di fede.
E’ una strategia di dialogo alternativa. E’ audace e fragile – e l’attentato di Alessandria non fa che sottolineare la sua fragilità – ma è una speranza immensa. Per me è l’unica via per un dialogo vero, che non tradisca la mia identità e quella del mio interlocutore”.
Questo doveva pensare il professor Weiler mentre un musulmano e un cattolico si offrivano liberamente di accompagnarlo in una camminata di due ore dalla Cittadella del Cairo fino all’albergo in cui alloggiava, onorando lui mentre lui onorava la festa di Sabbath.
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© Copyright Il Foglio, 5 gennaio 2011 consultabile online anche qui.
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