Ue, il primo anno di mandato della Ashton
Alto rappresentante di basso profilo
Giorgio Ferrari
«Per il momento non è previsto nulla di particolare».
È la risposta che l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune dell’Unione Europea Catherine Ashton ha affidato al proprio portavoce in risposta alle sollecitazioni di chi le domandava come l’Europa reagirà all’ultima ondata di violenze contro i cristiani dopo il sanguinoso attentato di Alessandria d’Egitto.
Niente male, per essere l’alto rappresentante dei Ventisette. Non riusciamo a immaginare cosa direbbe se ne fosse un rappresentante qualunque.
A scanso di equivoci: non abbiamo nulla di personale nei confronti di Lady Catherine Ashton of Upholland, sposa e madre di cinque figli (tre dei quali adottivi), catapultata più per alchimie di bottega politica che per reale vocazione al vertice della diplomazia europea.
Ma alla luce delle sue tante gaffes e delle sue molte assenze non possiamo evitare di tracciare un pur sommario bilancio del primo dei suoi cinque anni di mandato. Un bilancio molto poco lusinghiero per la cinquantenne membro della Camera dei Lord, dal primo dicembre 2009 ministro degli Esteri dell’Unione Europea in forza del Trattato di Lisbona. Cominciamo dal suo soprannome, quello di “ absent Baroness”.
Azzeccatissimo: impietoso, il Daily Telegraph pubblica il calendario delle presenze dell’esponente laburista ai meeting europei: dei 41 a cui era richiesta la sua presenza ne ha disertati 16 (pari al 39 per cento), ne ha abbandonati 11 a metà (pari al 27 per cento) e ha fatto sporadicamente capolino nei restanti 14. Al 66 per cento, insomma, ad esser fiscali, è da considerarsi virtualmente assenteista, se pure di rango, superando il suo stesso record di assenze, guadagnato sul campo quand’era commissario al Commercio. Il che non le impedisce di percepire oltre 230 mila sterline all’anno. Invano la lady ha chiesto di poter seguire le sedute della Commissione in videoconferenza, richiesta bocciata a gran voce nel Lorenzo Ornaghi timore che potesse fungere da cattivo esempio per gli altri commissari.
Ma non è soltanto questione di assenteismo. I media britannici stessi la bollano come inadatta al ruolo che ricopre e addossano la colpa al suo grande elettore, Gordon Brown, e al suo maligno euroscetticismo. Qualcuno si è spinto a riesumare la velenosa battuta attribuita (forse a torto) a Winston Churchill all’indirizzo di un suo avversario politico («Un taxi vuoto si è fermato davanti al n. 10 di Downing Street, e ne è sceso Clement Attlee»), riadattandola su misura per Lady Ashton e rimproverandole il gigantismo irresponsabile con cui ha preteso di sforare il budget previsto e spendere 55 milioni di euro per allestire il faraonico (quanto pletorico) servizio diplomatico europeo – 136 rappresentanze diplomatiche sparse per tutto il mondo – laddove negli stessi giorni il Foreign Office britannico tagliava il 40 per cento delle proprie spese e chiudeva numerose ambasciate. Ma la Ashton proclamava la nascita imminente del Dipartimento di Stato Europeo, forte di settemila diplomatici e in grado di dialogare alla pari con Cina, India, Iran, Medio Oriente, per non parlare della “speciale” relazione con gli Stati Uniti. Peccato che non esista una posizione ufficiale europea nei confronti del processo di pace israelo–palestinese, sulla delicata questione libanese, sull’Iran, sui conflitti regionali che infiammano il mondo, dall’Afghanistan al Sudan, e nemmeno, come si è visto, sulla martellante persecuzione che i cristiani vanno subendo da anni e anni in ogni angolo del mondo. Non sarà un caso se ancora ieri il ministro degli Esteri italiano Frattini e i suoi colleghi francese, ungherese e polacco sono tornati alla carica con la “absent Baroness” per sollecitare gesti concreti da parte della Ue per tutelare le minoranze cristiane.
Il primo anno del mandato della Ashton, insomma, si chiude in un poco rassicurante nulla di fatto. Opaco quanto è opaca la presidenza di Van Rompuy e in genere molta parte dell’attività di quell’elefantiaco Leviatano che ha sede a Bruxelles e che con intemerato ottimismo ci ostiniamo a chiamare Unione Europea.
© Copyright Avvenire, 8 gennaio 2011 consultabile online anche qui.
Povera Europa, una sconfitta dietro l'altra...
Una marea di spese sborsate dai cittadini dei Paesi membri per una politica del nulla di fatto!
R.
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5 commenti:
Il bello viene tra 9 giorni. Poi vedremo dove saremo.
a suo tempo mi pare che l'italia avesse candidato d'Alema per quel ruolo
che bel godiolo.
La baronessa Ashton ha lo stesso calore umano di in bastoncino Findus. Sigh. Vado OT. Ecco il mio "eroe" della settimana, il sig. Giorgio Vigni:
http://www.gazzettino.it/articolo_app.php?id=35453&sez=NORDEST&npl=&desc_sez=
non possiamo chiedere all'Europa quello che non accade nemmeno da noi. Se guardiamo in faccia la realtà, vediamo prese di posizione i cui fini sono più spesso solo politici. La prospettiva di ricompensa elettorale condiziona tutti, sia quelli che esagerano per darsi visibilità, sia quelli che non osano per non sfigurare con l'elettorato più estremo. Di fatto ci sono politici cattolici che la buttano sempre sulla difesa delle radici cristiane più per questioni teoricamente identitarie che realmente praticate, altri che si ricordano dei principi cristiani solo quando coincidono con quelli della dottrina marxista e partecipano ad ogni iniziativa di pace purchè non abbia a che fare col Papa. Ormai gran parte di loro li conosciamo, sono talmente nudi che fanno pena
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