mercoledì 25 maggio 2011

Il Papa all'udienza generale: la preghiera è una lotta con Dio che si vince quando ci si arrende al suo amore (R.V.)

Il Papa all'udienza generale: la preghiera è una lotta con Dio che si vince quando ci si arrende al suo amore

La vita è come una “lunga notte di lotta e di preghiera”, nella quale l’uomo deve ricercare con perseveranza la benedizione di Dio. È uno dei pensieri che ha caratterizzato l’udienza generale di questa mattina, presieduta da Benedetto XVI in Piazza San Pietro. Il Papa ha proseguito il suo nuovo ciclo di catechesi dedicato al tema della preghiera, ispirandosi al racconto biblico della lotta di Giacobbe con Dio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una notte buia, un uomo che si muove col favore delle tenebre perché ha qualcosa sulla coscienza da farsi perdonare e cerca nell’ombra un’alleata per la propria scaltrezza. E poi, l’imprevisto: uno sconosciuto che balza fuori e lo aggredisce, impegnandolo in una lotta senza quartiere che durerà l’intera nottata. Sono gli elementi narrativi dell’episodio descritto nella Genesi, dal quale Benedetto XVI ha tratto spunto per la sua catechesi. L’uomo che agisce di nascosto è Giacobbe, che sta tentando di rientrare nella sua terra dopo esserne fuggito, avendo sottratto la primogenitura a suo fratello Esaù e strappato con l’inganno la benedizione al padre cieco. Ora Giacobbe torna di nascosto, ma mentre sta per attraversare il guado dello Yabboq, l’aggressore manda a monte i suoi piani:

“Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata”.

Lo scambio di colpi è duro e le sorti del corpo a corpo mutevoli. Giacobbe, spiega il Papa, non riesce a distinguere nel buio il suo aggressore. Ma alla fine riesce a sopraffarlo. Per lasciarlo andare, Giacobbe pretende che l’avversario gli conceda la sua benedizione, la stessa – osserva Benedetto XVI – che aveva estorto al padre. L’aggressore chiede prima a Giacobbe quale sia il suo nome e questi glielo dice:

“Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino. Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare”.

La scena, afferma il Papa, si è ribaltata. Il vincitore dello scontro “si mette nelle mani del suo oppositore” e da lui “riceve un nome nuovo”. Il nome Giacobbe, ha spiegato Benedetto XVI, richiamava il verbo “ingannare”, ma ora il nome nuovo che gli dà Dio – perché è Lui il misterioso assalitore – è quello di “Israele”, che vuol dire “Dio è forte, Dio vince”:

“Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l’avversario stesso ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa”.

In questo episodio biblico, ha proseguito Benedetto XVI, la Chiesa vi ha sempre letto il “simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza”:

“Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono”.

In definitiva, ha concluso il Papa, la notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa "per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione":

“La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibili (…) E se l’oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio”.

Tra i saluti ai 15 mila presenti in Piazza San Pietro, da rilevare quello indirizzato da Benedetto XVI in lingua inglese al gruppo di militari statunitensi feriti in azione in Afghanistan e Iraq. Il gruppo fa parte dell'Associazione dei ''Wounded Warriors'', che si occupa di assistere i reduci e di aiutarli a reinserirsi nella società. Il Papa ha assicurato loro “solidarietà nella preghiera”.

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