sabato 21 maggio 2011

L'Abbazia degli intrighi. Il Vaticano sopprime i cistercensi di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (Rodari)

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La decisione, clamorosa, di cancellare la presenza dei monaci a Santa Croce in Gerusalemme è un altro dei segni di come il «governo gentile» di Benedetto XVI sappia essere decisionista e drastico quando si tratta di eliminare la «sporcizia» nella Chiesa (Tornielli)

Il Papa ha soppresso l’Abbazia di Santa Croce e disposto il trasferimento dei monaci. A Santa Croce in Gerusalemme in Roma abusi liturgici e poca disciplina (Galeazzi)

L’abbazia degli intrighi. Il Vaticano sopprime i cistercensi di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, guidati da un tipo eccentrico

di Paolo Rodari

Il decreto è ancora riservato ma parla chiaro. Firmato in data 11 marzo 2011 da monsignor João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, recita così: “La Congregazione, che ha il compito di intervenire in tutto ciò che è riservato alla santa Sede per quanto riguarda la vita consacrata, al termine della visita apostolica ad inquirendum et referendum sopprime l’abbazia di Santa Croce in Gerusalemme in Roma e dispone che i monaci ivi residenti si trasferiscano, entro due mesi, nei monasteri della congregazione di San Bernardo in Italia come stabilito dal commissario pontificio dom Mauro Lepori, abate generale dell’ordine cistercense”.
La notizia non è di poco conto. La comunità cistercense di Santa Croce, infatti, è una presenza storica a Roma. Risiede a fianco della basilica dal 1561 quando i cistercensi vi arrivarono per sostituire i certosini. Da allora è stata un’escalation importante, tante vocazioni e frotte di fedeli in pellegrinaggio per vedere i pezzi da novanta custoditi nel recinto sacro, le reliquie portate da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, di ritorno da un pellegrinaggio al Calvario, ovvero un frammento della croce di Gesù, un chiodo della medesima, e il titulus crucis, la tavoletta con l’imputazione formulata a Pilato.
L’escalation ha un suo apogeo ai giorni nostri quando, nell’autunno del 2008, Benedetto XVI, leggendo in collegamento video un passo della Genesi, apre “La Bibbia giorno e notte”, un evento in diretta Rai nel quale, ininterrottamente per sei giorni, viene proclamato l’intero testo sacro. Tra i lettori tanti volti noti, Carlo Azeglio Ciampi, Giulio Andreotti, Roberto Benigni, Maria Grazia Cucinotta e, per ultimo, il cardinale Tarcisio Bertone.
“Santa Croce in Gerusalemme diventa superstar”, titolano i giornali di mezzo mondo che suggeriscono ai propri lettori la visita al “nuovo” luogo di culto magari soggiornando per qualche notte nell’albergo molto à la page che i monaci hanno voluto a ridosso della basilica. Un servizio limousine è sempre disponibile per i cilienti più sofisticati, ventiquattrore su ventiquattro. Scrive l’Espresso in quei giorni: “Centro di culto e di solidarietà permanente per le sedicimila anime della sua parrocchia, oltre che monastero con trenta monaci, Santa Croce in Gerusalemme è diventata anche un’enclave ambita e di rango grazie all’associazione Amici di Santa Croce, presieduta da un discendente di Carlomagno”.
L’associazione promuove iniziative culturali e contribuisce a portare gente nel negozietto adiacente l’orto botanico che i monaci hanno sistemato all’interno dell’anfiteatro castrense. L’orto, ridisegnato dal paesaggista di Marella Agnelli e di Mary Rothscholi, vedova del barone Alain, si dice soddisfi persino la severissima Giulia Maria Crespi.
E poi? Poi qualcosa cambia. Qualcosa si rompe nei rapporti tra il Vaticano, il vicariato di Roma sotto la cui giurisdizione l’abbazia gravita, e i monaci. O meglio, un monaco, l’abate Simone Maria Fioraso il quale, prima di vestire la tunica bianca con lo scapolare nero, frequentava i migliori atelier di Milano – l’abate ha sempre mantenuto parecchio riserbo sul suo precedente impiego, c’è chi dice lavorasse per Missoni, chi per Giorgio Armani, voci mai confermate – e che dopo essersi calato con incredibile successo nel ruolo di gran cerimoniere dell’evento Rai cade, di colpo, in disgrazia. Cacciato dal Vaticano. Via da Roma. Via dall’abbazia. E con lui tutti i suoi monaci (sette resistono ancora dentro l’abbazia, molti hanno più di ottantanni, dovranno andarsene ma non si sa se mai accetteranno di farlo. E intanto, la basilica, è affidata a un prete diocesano).
Perché la decisione del Vaticano? Rispondere non è facile. Si parla di abusi liturgici gravi commessi dai monaci. Sono diversi siti tradizonalisti a mandare ancora oggi sul web le immagini di alcune celebrazioni all’interno della basilica. Ai tempi di “La Bibbia giorno e notte” una suora, Anna Nobili, si esibisce in una nuova forma di danza da lei ideata, la Holy dance. Ex cubista specializzata in lap dance e balli funky, animatrice per anni dei locali notturni milanesi più trasgressivi, suor Anna balla per Dio, senza velo, rotolandosi sorridente per terra nei pressi dell’altare. La danza non piace a tutti in Vaticano tanto che i rifllettori di alcune Congregazioni vengono posizionati sulla basilica, per guardare e capire verso quale approdo la stanno portando i monaci. Ma non di soli abusi liturgici peccano i monaci. Anzi, c’è chi dice che gli abusi siano una colpa dichiarata dalla Santa Sede per coprire vicende più gravi. C’è un dispaccio vaticano che parla di “problemi nella conduzione della comunità”. Mentre diverse voci anonime riferiscono di rapporti di amicizia “non del tutto ortodossi” tra alcuni monaci. Che può significare tanto ma anche nulla. Le dicerie, in queste comunità, sono all’ordine del giorno.
Di certo c’è un fatto: non era tutto oro quello che brillava attorno a Simone Fioraso. A cominciare dall’orto bitanico. Ricavato nel rudere dell’anfiteatro castrense viene dotato per volere dell’ex abate di una porta degna di nota. Viene battezzata “Sipario” e come scrive lo stesso Fioraso in un opuscolo ancora disponibile in basilica, è dono “dell’artista Jannis Kounellis”. Decine di pietre colorate sono incastonate in grande cancello di acciaio, un’“arte povera che ben si presta a interpretare un mondo che nella semplicità e nell’essenzialità ha le sue radici”. Scrive Kounellis: “La porta dell’orto nasconde l’ordine culturalmente stabilizzato che regna in quella natura a godimento della comunità monastica, protegge la verginità mistica della crescita delle piante, fra terra e cielo, come un pozzo fondato di preghiere”. E’ la migliore nobiltà romana che si avvicina a questa verginità mistica, che compra i prodotti dell’orto, che li cucina nelle proprie cene elogiandone i sapori autentici. Sapori che, come detto, pare abbiano soddisfatto anche Giulia Maria Crespi la quale, senz’altro, ben altro giudizio avrebbe maturato in merito se solo avesse saputo quella che in molti tra coloro che conoscono i monaci dicono essere l’“amara verità”. Una quantità importante dei cosiddetti prodotti tipici veniva scaricata tutte le mattine nel retro del negozietto adiacente l’orto da un fruttivendolo della zona. Alla faccia della produzione propria.
Il distacco dalla basilica non deve essere stato facile per Fioraso. Nato nel 1949 a Rho, a 34 anni è a Roma alla chiesa di San Carlo al Corso per fissare la data delle nozze. Ma accade qualcosa. A fine colloquio padre Ilario Marchesan gli dice: “Tu non sei chiamato al matrimonio, ma al sacerdozio”. Fioraso si lascia convincere. Lascia la donna che ama ed entra come novizio all’abbazia di Chiaravalle. Poi arriva a Santa Croce come archivista bibliotecario. Dirà: “Amo questo posto più di me stesso. E’ la nostra luce, il luogo dove Dio e l’uomo vivono insieme”.
Fioraso lavora per far splendere la basilica. Scrive a Domenico Sissini, direttore generale dei Beni culturali, per segnalare il bisogno di restauri. Cerca la collaborazione del prefetto Francesco La Motta, direttore del Fec, il Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno. Vuole ricostruire un rapporto da sempre vivo in città, quello tra la sua basilica e la nobiltà romana. Incontra il marchese Giulio Sacchetti. E’ il 2000. A Roma c’è il Giubileo indetto da Karol Wojtyla. I fondi arrivano copiosi. Sacchetti dà vita all’associazione Amici di Santa Croce. Vice presidente è Olimpia Torlonia e un comitato promotore che, si dice, sia “degno del Jockey club di Parigi”.
Il paesaggista Paolo Pejrone viene contattato per l’orto. I nobili portano soldi per i poveri. In cambio hanno accesso al grande corridoio dell’abbazia. Affreschi ottocenteschi e volte medievali. Qui possono liberamente organizzare cene di gala. Per pochi intimi o più popolate. Santa Croce decolla. Ci passano diversi politici, Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Pier Ferdinando Casini. Fioraso inaugura anche un albergo, la “Domus Sessoriana”. La vista che si giode dalle stanze è mozzafiato, il Tempio di Venere e Cupido da una parte, i resti archeologici della villa imperiale di Costantino e l’acquedotto Claudio dall’altra. Poi l’idea della “Bibbia giorno e notte”.
75 mila persone in sei giorni sono in basilica per ascoltare la lettura. Fioraso non vuole perdere la scia del grande entusiasmo. E pensa a una cappella dedicata interamente alla Parola “per non perdere l’ondata di spiritualità provocata dal Libro dei libri”. I giornali parlano di Fioraso così: “Anima ascetica, testa da Confindustria, carisma da leader”. Anche in Vaticano le sue “quotazioni” crescono parecchio. Di lui si parla anche oltre i confini italiani. Tanto che la popstar Madonna, nel 2008 a Roma per un concerto, si fa portare a Santa Croce in Gerusalemme. Sono le tredici, la basilica è chiusa. Fioraso viene avvisato e si precipita ad aprire. Insieme a un confratello scorta Madonna nell’orto e poi in basilica. Qui il confratello intona il Salve Regina. E, dice Fiorasio, “Madonna si commuove”. Sono gli ultimi sussulti di un’epoca felice, di poco precedente l’intervento della Santa Sede.
Come sempre accade in questi casi le disposizioni del Vaticano non si dilungano in molte parole. La decisione presa della soppressione dell’intera comunità viene scritta in un foglio protocollare scevro di spiegazioni. “Fioraso” dicono alcuni, “era salito troppo in alto e quando si sta in alto si provocano molte invidie”. In Vicariato arrivano storie sul suo conto che non convincono. Girano troppi soldi. Molti di questi spariscono. E poi le dicerie sulle amicizie tra i monaci. A molti non va giù la sovraesposizione mediatica che Fioraso guadagna durante “La Bibbia giorno e notte”. Dicono i più critici a proposito della cappella della Parola voluta da Fioraso e oggi scomparsa: “Era organizzata da schifo, tutta concentrata sul libro e appena relegato in un angoletto il simbolo eucaristico: una cosa sballata come arredo, e peggio, molto peggio a livello di contenuti simbolici”. E ancora, ecco le critiche di alcuni monaci: “Non serve alcuna cappella della Parola, perchè la vera cappella è il nostro cuore e l’anima nostra dove essa può e deve solo risuonare”. Per loro “l’esperienza dell’ottobre scorso è stata imposta dalla Rai, e già al momento la comunità si è spaccata in merito”. Dice una fonte anonima: “L’assenza in prima persona del Papa, come del cardinale Carlo Maria Martini (entrambi presenti soltanto in collegamento televisivo) indica che una buona parte della gerarchia riteneva questa occasione come una passerella: molti vi ci sono lanciati, altri hanno duramente disertato”.
Parole che sembrano mostrare come, la fronda anti Fioraso, è probabilmente nata dentro la stessa comunità cistercense prima che altrove. Nata a motivo di una sovraesposizione, di una visibilità e notorietà forse troppo elevata per uno che, pur a capo di una comunità, sempre monaco resta. Monaco, e dunque dedito a una vita riservata, nascosta, solitaria.
Non tutto comunque termina qui. Nei giorni in cui la comunità è chiamata a fare le valige, infatti, accade qualcosa di inaspettato. Come accadde in tante altre vicende analoghe – il caso del vescovo di Orvieto Domenico Scanavino o del vescovo di Toowoomba in Australia William Morris, ad esempio – è il popolo a stupire. Il popolo che si schiera con chi viene cacciato. A Santa Croce in Gerusalemme in molti rimpiangono il loro abate. Alcuni, non tutti, saputa la soppressione dell’intera comunità monastica hanno appeso un volantino nell’atrio della basilica rivolto a tutti i monaci.
Recita così: “Con pazienza, dedizione, sacrificio e passione avete cambiato il volto di Santa Croce. Avete valorizzato la nostra splendida basilica restituendole il ruolo universale che le spetta. Avete amato e servito questa comunità anche quando non ha capito e apprezzato i vostri sforzi. Le parole non bastano per esprimere il dolore di questo distacco brusco e immotivato”. Firmato: La comunità parrocchiale che sa riconoscere i frutti dello Spirito”.

© Copyright Il Foglio, 21 maggio 2011 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

5 commenti:

sonny ha detto...

Buongiorno cari. A Roma tira una brutta aria, eh? Questa sta diventando una farsa:

http://roma.repubblica.it/cronaca/2011/05/21/news/dietrofront_sulla_statua_del_papa_alemanno_ora_un_referendum_-16553112/

Anonimo ha detto...

ah beh, come se fosse una novità! guardate qua: http://www.iltempo.it/politica/2010/06/23/1172843-balducci_intrigo_santa_croce.shtml

giulio

Anonimo ha detto...

Abbazia degli intrighi e dei zozzoni...

Anonimo ha detto...

Il Santo Padre deve commissariare i Cistercensi, privi di quei soldi che faceva lor menare vita comoda e allegra ho paura che vendano a pezzi la biblioteca che posseggono in Roma.
Sapete che stanno inventariando...per cosa?
La Santa Sede indaghi al più presto,temo colpi di coda...
Ci sembra di vivere nella Roma rinascimentale...scandali a non finire.
Dio aiutaci!

Anonimo ha detto...

A leggere il Messaggero non si sa a chi dar retta. Sembra come che rimuovere i vescovi e gli abati di successo sia il passatempo preferito.Eufemia
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=150125&sez=HOME_ROMA&ssez=CITTA