Un mondo nuovo
Perché un Paese africano non potrebbe indicare la via al resto del mondo?
Benedetto XVI ha lasciato il Benin con una domanda che interpella non solo il continente dove per la seconda volta è stato in meno di tre anni. Precisando subito dopo che si tratta di una via per vivere una fraternità autentica, fondata sulla famiglia e sul lavoro.
Anche l’ultimo dei discorsi beninesi è dunque servito al Papa per ripetere il suo forte incoraggiamento all’Africa e ammonire quanti continuano a sfruttarla con forme malcelate di neocolonialismo.
Oppure finiscono per ignorarla, come è avvenuto su quei media che hanno minimizzato o trascurato il viaggio papale, nonostante le indicazioni contrarie dei loro stessi inviati, testimoni della sua importanza e novità. Un avvenimento ritenuto da questi media privo d’interesse forse perché senza condom e senza abusi, che sembrano essere divenuti ingredienti indispensabili perché si informi sulla Chiesa cattolica.
Dalla visita in Benin di Benedetto XVI e dall’esortazione apostolica Africae munus che ha firmato a Ouidah vengono invece un contributo importante alla convivenza mondiale e un sostegno reale all’impegno della Chiesa cattolica. La quale non è certo estranea al continente, che diede asilo alla sacra famiglia in fuga dalla persecuzione e dove il cristianesimo ha radici antichissime. Come mostra il caso dell’Etiopia e come il Papa ha più volte sottolineato, ricordando l’importanza della scuola di Alessandria, evocando gli antichi autori cristiani africani di lingua latina e soprattutto ripetendo ancora una volta ai giornalisti in volo per Cotonou che nel XXI secolo l’annuncio del Vangelo nel continente non deve apparire un sistema difficile ed europeo, ma esprimersi nel messaggio universale, al tempo stesso semplice e profondo, «che Dio ci conosce e ci ama e che la religione concreta provoca collaborazione e fraternità».
Questo messaggio è lo stesso dell’esortazione Africae munus, documento frutto della collegialità sinodale dove Benedetto XVI ha messo insieme realismo e speranza. Un binomio che ha segnato tutto il viaggio e soprattutto il grande discorso tenuto al palazzo presidenziale di Cotonou, dove il Papa non ha nascosto i gravi problemi del continente — che continuano purtroppo a essere di attualità, ma che certo non sono esclusivi dell’Africa — e tuttavia ha saputo contestare con energia le visioni negative, riduttrici e irrispettose che vengono abitualmente diffuse. In questo modo ha potuto denunciare scandali e ingiustizie, corruzione e violenza, ma soprattutto ha guardato con ottimismo al futuro. La speranza africana di Benedetto XVI ha efficacemente titolato «La Croix» riassumendo così il senso di tutto il viaggio.
E la speranza del Papa, amico autentico dell’Africa, è stata bene espressa tanto dall’incontro chiassosissimo e commovente con i bambini — che rappresentano il futuro del continente — quanto dall’omelia durante la messa conclusiva, nella domenica di Cristo Re, ultima dell’anno liturgico. Nella quale ha ricordato, commentando la descrizione evangelica del giudizio finale, che è il Signore dell’universo e della storia a liberare l’umanità dalla paura e a introdurla in un mondo nuovo di libertà e di felicità.
g.m.v
(©L'Osservatore Romano 21-22 novembre 2011)
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