La risposta della serenità
di Massimo Introvigne
Benedetto XVI è un papa molto amato da tanti cattolici.
Ma duramente attaccato da diversi media internazionali, e anche da una piccola ma attiva minoranza all’interno della Chiesa. Vorrei riflettere su questi attacchi dialogando con un libro importante, Attacco a Ratzinger. Accuse, scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI.
La prima offensiva contro il papa inizia con il discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, il quale contiene una citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425) giudicata da alcuni offensiva nei confronti dell’islam e dei musulmani. Ne nasce una grande campagna contro Benedetto XVI, alimentata sia da organi di stampa occidentali sia dal fondamentalismo islamico, che degenera in episodi violenti. A Mogadiscio, in Somalia, è perfino uccisa una suora.
Paradossalmente le motivazioni profonde del passaggio sull’islam nel testo di Ratisbona sono state comprese da molti intellettuali musulmani, ma rimangono ostiche o ignorate per la grande stampa dell’occidente.
Emerge uno schema in tre stadi − errori di comunicazione della Santa Sede, aggressione della stampa laicista, ruolo essenziale di cattolici ostili a Benedetto XVI nel supportare quest’aggressione − che si ritrova in tutti gli altri episodi, con poche varianti.
Tuttavia, nel marzo 2009 con il viaggio del papa in Africa l’attacco entra in una fase nuova. Sull’aereo che lo porta in Camerun come di consueto Benedetto XVI risponde alle domande dei giornalisti. A un cronista francese che gli pone una domanda sull’Aids, il papa risponde che la distribuzione massiccia di preservativi non risolve ma aggrava il problema. Il papa tecnicamente ha ragione e nei giorni successivi lo confermeranno fior di immunologi: favorendo la promiscuità sessuale e creando una falsa illusione di sicurezza le politiche basate sul preservativo hanno regolarmente aggravato il problema Aids nei Paesi dove sono state sperimentate. Ma la risposta del papa occupa le cronache internazionali per tutto il viaggio, facendo ignorare almeno in Europa e negli Stati Uniti i profondi insegnamenti sulla crisi del continente africano − e la puntuale denuncia delle malefatte delle istituzioni internazionali e di alcune multinazionali in Africa: che fosse proprio questo lo scopo?
Non sorprende ormai più la discesa in campo contro il papa dei soliti teologi progressisti. Ma il fatto nuovo è l’intervento dei governi: Spagna, Francia e Germania chiedono al papa di scusarsi, al Parlamento europeo una mozione di censura del pontefice non passa ma raccoglie comunque 199 voti.
In Belgio una mozione analoga è invece votata dal Parlamento e provoca una dura risposta vaticana, innescando una crisi diplomatica senza precedenti tra i due Paesi che prepara gli atteggiamenti maneschi della polizia belga nella successiva vicenda dei preti pedofili.
Le altre crisi impallidiscono comunque di fronte ai preti pedofili. Dal momento che gli autori citano ampiamente e riprendono materiale dal mio libro Preti pedofili (San Paolo, Cinisello Balsamo 2010), sostanzialmente condividendone l’impostazione, posso permettermi di rimandare al mio testo.
Il libro di Rodari e Tornielli ribadisce, contro le critiche assurde che purtroppo sono venute anche da vescovi e cardinali, quanto anch’io ho sottolineato: se c’è stato nella Chiesa un prelato durissimo nei confronti dei preti pedofili, tanto da essere accusato di violare il loro diritto alla difesa e di essersi scontrato sul punto con numerosi colleghi vescovi, questi è stato il cardinale Ratzinger quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Presentarlo al contrario come tollerante sul punto è semplicemente ridicolo, eppure trova talora credito tra i lettori meno informati dei quotidiani.
Semmai ci si può chiedere se gli ostacoli che il cardinale Ratzinger ebbe a incontrare negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II – quando le sue richieste di ancor maggiore severità non sempre furono accolte – non gettino un’ombra sul grande papa polacco e non rischino perfino di compromettere la sua causa di beatificazione.
In effetti nella causa in corso il problema è stato affrontato. Ma si è concluso, giustamente, che taluni freni all’opera del cardinale Ratzinger risalgono agli ultimi anni del pontificato wojtyliano, quando Giovanni Paolo II, sempre più gravemente malato, non seguiva più personalmente queste vicende delegandole a collaboratori cui vanno dunque girate eventuali critiche.
In conclusione Rodari e Tornielli si chiedono se si possa parlare di un complotto contro il papa, citando varie opinioni tra cui la mia in un’intervista che ho loro rilasciato specificatamente per questo volume. La loro conclusione è che ci siano in atto tre diversi attacchi a Benedetto XVI da parte di tre diversi nemici. Il primo è costituito dalla galassia di lobby laiciste, omosessuali, massoniche, femministe, delle case farmaceutiche che vendono prodotti abortivi, degli avvocati che chiedono risarcimenti miliardari per i casi di pedofilia. Questa galassia, troppo complessa perché si possa ritenere che risponda a una sola regia, dispone però grazie alle nuove tecnologie dell’informazione di un potere che nessun altro nemico della Chiesa ha avuto nell’intera storia umana e vede nel papa il principale ostacolo alla costruzione di una universale dittatura del relativismo in cui Dio e i valori della vita e della famiglia non contano. Un ostacolo che dev’essere spazzato via a tutti i costi e con ogni mezzo.
Queste lobby hanno successo perché hanno arruolato un secondo nemico del papa costituito dal progressismo cattolico e da quei cattolici e teologi − tra cui non pochi vescovi − i quali vedono la loro autorità e il loro potere nella Chiesa minacciato dallo smantellamento da parte di Benedetto XVI di quella interpretazione del Concilio in termini di discontinuità e di rottura con la tradizione su cui hanno costruito per decenni carriere e fortune. Le interviste ai cattolici progressisti permettono ai media laicisti di rappresentare la loro propaganda non come anticattolica ma come sostegno contro il papa reazionario che vuole “abolire il Concilio”, cioè mettere in discussione il suo presunto “spirito”, dal momento che la lettera dei documenti conciliari dai giornalisti anticattolici non è neppure conosciuta e dai loro compagni di strada “cattolici adulti” è giudicata irrilevante.
In terzo luogo, Benedetto XVI ha anche un terzo nemico, inconsapevole e involontario ma non per questo meno pericoloso. Ci sono “attacchi involontariamente autoproautoprodotti a causa delle numerose imprudenze e dei frequenti errori dei collaboratori” del papa. Ci sono, naturalmente, diversi pareri sulla difficoltà di comunicazione della Santa Sede nell’epoca non solo di Internet ma di Facebook e di una telefonia mobile collegata al Web che fa sì che le notizie arrivino a centinaia di milioni di persone – per esempio i cinquecento milioni di utenti Facebook attivi ogni giorno – pochi secondi dopo essere state lanciate e siano archiviate come vecchie dopo qualche ora. Se una notizia falsa non è smentita entro due o tre ore, se a un attacco non si risponde al massimo entro ventiquattr’ore le possibilità di replica efficace si riducono a poco più di zero.
Se tutto questo è vero, le opinioni di chi rimpiange il precedente portavoce pontificio, il laico dottor Joaquín Navarro Valls, giudicandolo più scaltro del suo successore gesuita padre Federico Lombardi, possono essere dibattute all’infinito ma forse non vanno al cuore del problema.
È il modo di comunicare che è cambiato radicalmente, ed è cambiato dopo la morte di Giovanni Paolo II perché il problema non è Internet ma il numero sempre maggiore di persone – centinaia di milioni, appunto, non piccole élites – che a Internet sono collegate ventiquattro ore su ventiquattro tramite gli smartphone, i netbook o i vari iPad, e hanno un tempo di reazione a richieste o provocazioni che si misura in minuti e non più in ore. Sul punto il libro del giornalista italiano Marco Niada Il tempo breve (Garzanti, Milano 2010) dovrebbe forse essere
letto anche da qualche vaticanista.
Benedetto XVI non è inconsapevole di questi attacchi. È molto interessato alle nuove tecnologie e alla necessità di migliorare le strategie di comunicazione della Santa Sede. Ma è anche molto sereno. È disponibile a seguire i problemi che la rivoluzione delle comunicazioni – una rivoluzione forse non meno importante di quella degli anni 1960 in tema di morale e di crisi dell’autorità – pone alla Chiesa, ma non a inseguirli. Insiste sul fatto che la salvezza della Chiesa perseguitata non verrà dalle strategie, dalle diplomazie, dalle tecnologie – per quanto queste siano importanti e non vadano trascurate – ma dalla fedeltà alla preghiera, alla meditazione, al Cristo crocefisso. È probabile che abbia ragione non solo, com’è ovvio, sul piano spirituale ma anche su quello culturale e sociologico, dove alla Chiesa non si chiede d’imitare i modelli dominanti ma di essere se stessa. Non tutti, anche tra i cattolici, sembrano averlo compreso.
MASSIMO INTROVIGNE Direttore del Centro studi sulle nuove religioni e autore di Preti pedofili, San Paolo edizioni, 2010
© Copyright Formiche anno VII - numero 54 - dicembre 2010
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