Su segnalazione della nostra Sam leggiamo questa bellezza di articolo:
Il buon soldato
Gianpaolo BARRA
Il corposo volume dello storico Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, edito dalla benemerita Lindau, ha suscitato negli ambienti frequentati da quelli che, per pura comodità, definisco “cattolici fedeli al Papa” (intendo coloro che, detto sommariamente e solo per capirci, lo amano e non ne contestano indicazioni e insegnamenti) una disputa vivace e interessante.
Un dibattito che si è conservato, almeno finora, tra i confini di un civile a pacato confronto.
Oggetto del contendere è il Concilio Vaticano II, o meglio: certi passaggi contenuti nei documenti approvati da quell’altissima assise che alcuni dei “fedeli al Papa” ritengono “problematici”, perché sembrerebbero contraddire il perenne insegnamento della Chiesa. Costoro chiedono al Pontefice una parola definitiva, che rimuova ogni dubbio e ponga fine agli equivoci sorti nel post-concilio.
Per quel che so, il Papa ha dato, e più volte, indicazioni precise in merito, denunciando l’esistenza di un conflitto tra due modi di interpretare i testi conciliari, e spiegando che uno solo è quello corretto: capirlo, apprezzarlo e docilmente seguirlo secondo la chiave di lettura della “riforma nella continuità”. Così, e solo così, sostiene il Papa, potrà svanire ogni equivoco.
Non voglio – e, francamente, non sono in grado di – entrare nel merito del confronto che ha visto scendere in campo anche validi collaboratori del nostro Timone.
Una cosa, tuttavia, mi pare di poter dire e riguarda non il “merito” della contesa, bensì il “metodo” che ogni “fedele al Papa”, specialmente se apologeta, e dunque disposto a combattere da buon soldato per difendere la Chiesa, dovrebbe far proprio e applicare inflessibilmente. Anche e soprattutto quando, con il Papa, affronta i problemi sollevati dall’interpretazione di alcuni passi del Concilio Vaticano II. Un metodo per evitare giudizi errati. Che comporta, a mio avviso, tre “mosse”.
La prima: prendere atto – doverosamente – che il Concilio Vaticano II è stato un atto del più alto magistero della Chiesa, cioè di tutti i vescovi del mondo riuniti sotto il governo del successore di Pietro, al quale si deve guardare come si guarda a tutti i concili che lo hanno preceduto.
La seconda: prendere atto che il Santo Padre, da “generale” buono e paterno, dunque da Pastore universale della Chiesa, ha dato disposizioni su come si deve interpretare il Concilio perché non venga distorto e porti frutto alla missione della Chiesa nel mondo.
La terza: un vero soldato, cioè ogni buon cattolico, non discute le indicazioni del Pontefice, non cavilla, non fa loro le pulci, ma impiega tutte le armi di cui dispone – i talenti di cui Dio lo ha dotato – per sostenerle, approfondirle, motivarle, chiarirle e difenderle.
Se Benedetto XVI ha detto che il Concilio – tutto il Concilio – va letto alla luce della Tradizione, e se ha ribadito che questo è il solo modo per non falsarne gli insegnamenti, e se ha precisato che solo così essi si possono comporre in armonia con le dottrine di sempre, il soldato cattolico si batte perché le indicazioni del Pontefice, le sue direttive, le sue strategie siano capite, accolte, seguite e promosse.
Non ci vuole molto, mi pare. E se qualcuno accusasse quel soldato di assumere un atteggiamento servile, passivo, umiliante, di cieca obbedienza, lo si mandi con benevola compassione a quel paese: il soldato risponde solo a Dio di come si è comportato in battaglia. Di ciò che pensano gli altri non gli importa nulla!
Il Timone
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3 commenti:
Il più bel commento e il commento più sinceramente cattolico di questi giorni!
Il malinteso applicativo e, in alcuni casi, le evidenti degenerazioni (cito, tanto per indicare un caso, neppure il peggiore, il sacerdote olandese che ha festeggiato i suoi calciatori con un altare zeppo di maglie e di palloni), secondo me derivano anche dal fatto che i "pronunciamenti chiarificatori" del Papa e della Chiesa si muovo sempre attraverso un linguaggio sfumato (nella vita civile si direbbe ambiguo) che, a causa della testa, già in partenza confusa, di qualche ministro di Dio si presta a diverse "individuali" interpretazioni applicative. Se la Chiesa, come io sinceramente auspico, abbandonasse una volta per tutte il "linguaggio fumoso", che sembra fatto apposta per una doppia valenza ad uso dei "furbi", certe degenerazioni sarebbero probabilmente ridotte od evitate. Oggi, un sacerdote mi ha detto di "trovare, come dire, un po' strane" le indugenze plenarie: c'è già la confessione e questa basta ed avanza, per perdonare tutto. Non so, se sul piano dottrinario/teologico abbia ragione o torto.Ma questo è il suo "onesto" pensiero. La Chiesa ufficiale mi pare che abbia un'idea diverse della funzione delle indulgenze plenarie.
Abbandonare il "linguaggio fumoso"....
Ma come può se è piena di fumo, piena zeppa di fumo, fumo ovunque da tutte le parti...
Aiuto, come aveva ragione Paolo VI! Dio non voglia che si debba uscire dalla Chiesa per non soffocare!
Oggi il martirio vero è questo e quelli che scappano, per esempio quelli che passano ai Lefebvriani, li capisco, ma in fondo - mi dico - scelgono la via più facile!
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