Il segretario di Giovanni XXIII ricorda il giorno in cui il Papa annunciò il concilio Vaticano II
Lo strano paradosso del vecchio che ringiovanì la Chiesa
Due affermazioni aiutano a capire il segreto della sua anima
di Loris Capovilla
Sono trascorsi cinquantadue anni da quando Giovanni XXIII manifestò la determinazione di indire il XXI concilio ecumenico, celebrare il primo Sinodo romano, avviare l'aggiornamento del Codice di diritto canonico.
Riecheggiano nel mio animo due emblematiche affermazioni di allora: l'una contenuta nel discorso ai cardinali: "Amore e santità"; l'altra, trasparente tra le righe di una lettera inviata a un condiscepolo, parroco di campagna: "Prontezza a tutto".
Sul terminare dell'allocuzione ai porporati, il Papa si avvolse nel mantello del suo lontano antecessore san Leone i: "Sarete mia corona e mio gaudio, se la vostra vita rimarrà radicata nell'amore e nella santità" (Discorsi messaggi colloqui, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana 1960, i, pp. 129-133). Nello scritto al condiscepolo lasciò intravedere il fondo del suo animo: "Sono stupito di questo trovarmi sempre me stesso, cioè semplice e sincero, calmo e sereno e pronto umilissimamente a tutto, come prigioniero di Cristo" (Giovanni XXIII, Lettere del Pontificato, San Paolo, 2008, lettera n. 42, 31. i. 1959).
Sovente rimbalza la domanda: chi era e com'era questo Papa Giovanni che, settantottenne, osò segnalare al cammino della Chiesa tre eventi tanto gravi?
Le due proposizioni: "amore e santità" e "prontezza a tutto" aiutano a scoprire il segreto di un'anima. Era il cristiano completamente libero da preoccupazione di successo personale; l'uomo che, a suo dire, aveva messo il proprio io sotto i piedi; il sacerdote della tradizione, abilitato ad avviare il processo di aggiornamento senza avventure, secondo la formula da lui coniata, ripetuta poi da Paolo vi: "Fedeltà e rinnovamento".
La sola fedeltà infatti ridurrebbe la Chiesa a museo; il solo rinnovamento condurrebbe all'anarchia. Era il sacerdote che soltanto sull'altare, tra il Libro e il Calice, si sentiva a suo agio. Apparteneva alla stirpe dei profeti chiamati ad annunciare ciò che non pretendono di raggiungere e non vedranno coi loro occhi.
A tre mesi dalla elezione alla cattedra di Pietro, dopo aver pregato e riflettuto sul consuntivo dei suoi trent'anni di servizio della Santa Sede in oriente e in Francia e del sessennio veneziano, dato ascolto alle voci che da varie parti del mondo gli giungevano, egli riprese il filo della tradizione più recente dei Papi del secolo ventesimo e lo riannodò a quello della tradizione più antica richiamante "alcune forme di affermazione dottrinale e di saggi ordinamenti di ecclesiastica disciplina, che nella storia della chiesa, in epoca di rinnovamento, diedero frutti di straordinaria efficacia per la chiarezza del pensiero, per la compattezza dell'unità religiosa, per la fiamma più viva del fervore cristiano".
Diede prova in tal modo di apprezzare al sommo le istituzioni apostoliche e gli ordinamenti datisi dalla Chiesa, a cominciare dal convegno gerosolimitano dell'anno 50 dell'era cristiana sino al concilio Vaticano i e si avventurò "certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito" sulla strada indicatagli dalla Provvidenza.
Questo dev'essere stato il senso del colloquio col suo segretario di Stato, se il cardinale Tardini alla data del 20 gennaio 1959 poté scrivere nella sua agenda il commento che lo onora e rende giustizia al Papa: "Udienza importante. Sua Santità ieri pomeriggio ha riflettuto e concretato sul programma del suo pontificato. Ha ideato tre cose: Sinodo romano, Concilio ecumenico, aggiornamento del Codice di diritto canonico. Vuole annunciare questi tre punti domenica prossima ai signori cardinali, dopo la cerimonia di San Paolo. Dico al S. Padre (che mi interrogò): A me piacciono le cose belle e nuove. Ora questi tre punti sono bellissimi e il modo di dare il primo annuncio ai cardinali è nuovo (ma si riallaccia alle antiche tradizioni papali) ed è opportunissimo".
Chi conobbe il cardinale Tardini sa che era prelato non facile agli entusiasmi e non incline alla cortigianeria. Sulla sua agenda 1959 la pagina del 20 gennaio è la sola che rechi traccia di inchiostro!
I singoli momenti della vigilia e del 25 gennaio e seguenti rivivono nella mia fantasia. Rivedo il Papa la sera del 24 con le tredici pagine dattiloscritte dei discorsi dell'indomani, e risento la sua voce, la stessa che nell'ora della morte ripeterà identico concetto che gli stava fisso nel cuore: "L'umanità sospira la pace. Se la Chiesa, coerente con la sua vocazione, si ripresenterà giovane e pura, senza macchia né ruga (Efesini, 5, 27), riflettente il modello ideato dal suo Fondatore, e perciò credibile, tutti ne trarranno beneficio. Io non ho mai avuto dubbi di fede, tuttavia mi sconcerta il fatto che mentre Cristo da duemila anni tiene le sue braccia aperte sulla croce, l'espansione del suo vangelo abbia subìto tanto ritardo. Confido che questi fogli suscitino una risposta corale ai propositi che vi stanno racchiusi".
Il 25 gennaio 1959 il Papa si alzò all'alba avviando la sua preghiera mattutina con l'Angelus recitato sopra il solenne abbraccio del colonnato berniniano. Celebrò la messa nella cappella domestica e assistette alla mia. Rimase in ginocchio più a lungo del solito. Sostò al tavolo di lavoro per una rapida scorsa ai quotidiani e ad alcune pratiche della segreteria di Stato. Risonava nell'aria il suo interrogativo: "Come ripresentare nella sua interezza il messaggio cristiano alla gente del nostro tempo? L'uomo moderno non è insensibile alla parola di Cristo, non è del tutto restio ad afferrare l'àncora di salvezza che gli viene offerta".
In macchina verso San Paolo proferì poche parole. Presiedette la messa celebrata dall'Abate e tenne omelia. Il rito si prolungò più del previsto e il Papa varcò la soglia dell'aula capitolare del monastero benedettino poco dopo mezzogiorno, l'ora in cui cessava l'embargo dell'annuncio. Così accadde che la notizia del concilio venisse divulgata dai mass media prima che il Pontefice l'avesse comunicata ai cardinali.
All'annuncio di quel 25 gennaio sino all'indizione propriamente detta di Natale 1961, nella laboriosa parentesi delle fasi antepreparatoria e preparatoria, il Papa moltiplicò in proposito la sua catechesi compendiata nelle tre articolazioni, che segnalavano il cammino dell'evento ecclesiale, come verrà precisato nel discorso di apertura dell'11 ottobre 1962: a) promuovere il rinnovamento interiore della cattolicità; b) porre i cristiani dinanzi alla realtà della Chiesa di Cristo e dei suoi compiti istituzionali; c) sollecitare i vescovi, coi loro presbiteri e laici, a sentirsi collegialmente corresponsabili della salvezza di tutti gli uomini e a farsi carico di tutti i loro problemi, affinché l'assise conciliare si rivelasse veramente ecumenica.
Queste articolazioni, per nulla esaurite, sono state ulteriormente esplicitate durante i pontificati di Paolo vi, Giovanni Paolo i, Giovanni Paolo ii, Benedetto XVI, tramite ininterrotta presenza papale, interventi collegiali degli episcopati delle varie nazioni, attività degli organi centrali della santa sede, in particolare con l'impulso impresso ai Pontifici Consigli e alle Pontificie Commissioni.
Con tale impegno, la Chiesa del Vaticano II, entrata nella dinamica contemporanea, ha recato efficace contributo alla promozione della giustizia e alla instaurazione della pace, a vantaggio di tutta l'umanità, senza tuttavia piegare un solo lembo della sua bandiera; ha favorito il cammino verso la ricomposizione dell'unità dei cristiani, presupposto alla unificazione di tutte le genti.
Qualche giorno dopo il 25 gennaio 1959, esaltando l'Immacolata di Lourdes, Giovanni XXIII sentì il bisogno "di esprimere un pensiero in grande confidenza paterna". Infatti già lo si era collocato tra gli uomini inclini alla mitezza e all'ottimismo, ed egli non negò questa sua connotazione, ma volle renderne ragione: "La naturale inclinazione del vostro nuovo Papa ad esporre la dottrina con calma e con semplicità piuttosto che sottolineare, a colpi decisi, punti di dissenso ed aspetti negativi del pensare e dell'operare, non lo dissuade, né gli toglie il senso delle sue tremende responsabilità pastorali. In ogni tempo chiunque è preposto alla direzione delle anime, delle famiglie e della società religiosa, civile e sociale sente imperioso il dovere di opporsi al franamento che le tre concupiscenze minacciano di operare a danno dell'uomo ed il dovere di richiamare quelle vecchie parole, che suonano ad alcuni meno gradevoli, parole di invito alla disciplina e alla penitenza".
Si avverte in questo brano il preannuncio dell'allocuzione Gaudet mater Ecclesia in apertura del concilio, colla proposta della "medicina della misericordia", tuttavia senza compromessi tattici, senza collocare nell'ombra uno solo dei princìpi e dei valori che sono tutt'uno col cristianesimo.
Cinquantadue anni dell'annuncio del concilio, a quarantasei dalla sua conclusione, dopo che quattro Papi hanno ripetutamente asserito che esso è stato evento voluto da Dio, condotto dallo Spirito, approdato alle sue evangeliche conclusioni; dopo che Paolo vi e Giovanni Paolo ii hanno riconosciuto che Papa Giovanni ha ringiovanito la Chiesa - stupendo paradosso: il "vecchio" che compie opera di ringiovanimento! - la vox populi attribuisce il carisma profetico al pastore che nell'annunciare il concilio affermò di aver voluto cogliere la buona ispirazione celeste, scoprendone la premessa nella Bibbia: "Susciterò loro un profeta e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore" (Deuteronomio, 18, 18-22).
Giovanni XXIII ha detto le parole del Signore? Le ha dette al popolo romano col Sinodo? All'umanità col concilio? Ha interpretato l'esigenza incontrovertibile dell'aggiornamento del Codice?
Se il Sinodo romano, che va letto nell'ottica della legislazione degli anni sessanta del secolo xx, è stato oggetto di non pochi strali, è segno che i suoi articoli non sono stati considerati alla luce della disciplina ecclesiastica e della passione pastorale. Se il Codice, promulgato dopo personale vaglio compiuto da Giovanni Paolo ii con estrema sensibilità, al fine di renderlo strumento di liberazione per i credenti (legum servi sumus ut liberi esse possimus), incontra qualche difficoltà di interpretazione e di applicazione, dipende dal fatto che taluno dimentica la costituzione gerarchica della Chiesa. Se il Vaticano II non ha raggiunto tutte le mete prefissate, o stenta a conseguirle, ciò significa che la nostra conversione è di là da venire.
Nella prefazione alla biografia di Giovanni XXIII di Michel De Kerdreux (pseudonimo di Soeur Marie du Saint Esprit, carmelitana di Gravigny), il cardinale François Marty ha scritto: "Non dimentico mai che Giovanni è stato il Papa del Concilio. E oggi so che ha avuto ragione. Non a motivo della crisi attuale, ma perché senza questa immensa conversione la chiesa di Gesù Cristo sarebbe assai malata. Essa non potrebbe adempiere alla sua missione, mentre nella nostra epoca la famiglia umana ha tanto bisogno di questa ancella".
Grazie a Papa Giovanni, sul cui petto esultavano le aspirazioni e le illuminazioni dei suoi immediati antecessori, di vescovi e di teologi, di uomini e donne timbrati a fuoco dalla parola rivelata, oggi noi sappiamo, meglio di ieri, chi siamo e dove siamo diretti (Lumen gentium); quale lingua dobbiamo parlare e quale messaggio diffondere (Dei verbum); come e con quale intensità pregare (Sacrosanctum concilium); quale atteggiamento tenere dinanzi ai problemi e ai drammi dell'umanità contemporanea (Gaudium et spes).
Sono i quattro pilastri che sostengono l'edificio della rinnovata teologia pastorale e incoraggiano ad ascoltare la voce di Dio, a rivolgersi a Dio come figli; e obbligano a dialogare con tutte le componenti della famiglia umana.
(©L'Osservatore Romano - 24-25 gennaio 2011)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
3 commenti:
L'ha ringiovanita? L'ha invecchiata ,ricoperta di rughe e lasciata in una palude spaventosa.
Il trionfalismo becero del segretario è fuori luogo:l'Italia e l'Europa erano cristiane grazie all'apostolato di quasi due millenni e Giovanni XXIII gettò le perle ai porci!
Onestà storica,Signori,onesta!
io non sarei ingeneroso verso papa giovanni.come disse montanelli ha cominciato un concilio che non avrebbe mai chiuso visto le decisioni finali, e sempre viste le decisioni finali paolo vi ha chiuso un concilio che non avrebbe mai aperto.
roncalli era uomo di tradizione, quello che voleva ringiovanire era il modo di comunicare il messaggio non il messaggio. sarebbe più credibile bxvi se andasse su sedia gestatoria con ventagli di pume di struzzo e si facesse baciare i piedi?se i cardinali avessero 7 o 12 metri di strascico con cappa di ermellino? persone che chiedono grazie strisciando con la lingua per terra, e altre superstizioni popolari? donne che recitano il rosario durante la messa, il mistero piùgrande della nostra fede, perché non capivano una mazza di quelllo che succedeva? ahimé si é buttata l'acqua con il bambino.
sono completamente d'accordo. é vero che la chiesa di oggi non più missionaria nasce dal concilio, ma siamo sicuri che se la chiesa fosse rimasta quella degli anni 50 oggi ci sarebbero altrettanti fedeli o forse di meno?
Max
Max
No Pietro. È solo questione di punti di vista.
Posta un commento