lunedì 24 gennaio 2011

Perché stare nella rete? L'incoraggiamento di Benedetto XVI ai Cristiani (Michele Sorice)

Perché stare nella rete?

L'incoraggiamento di Benedetto XVI ai cristiani

Michele Sorice (*)

Nel momento in cui l’economia si interroga sul valore monetario dei social media e alcuni governi pensano a pericolose quanto inapplicabili censure alla rete Internet, la Chiesa individua proprio nelle nuove tecnologie della comunicazione un modo nuovo di stabilire relazioni, in cui convivono rischi e opportunità. E non è questione solo di contenuti, perché “le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa”. Lo scrive papa Benedetto XVI nel suo messaggio in occasione della XLV Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
La Chiesa ha sempre manifestato una grande attenzione alla comunicazione, intesa non solo come tecnica ma soprattutto come forma di dialogo e strumento per la costruzione di senso. Le nuove forme della comunicazione – il cosiddetto web 2.0, in particolare – conducono verso “un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”. La rete, e i social network in particolare, rappresentano cioè strumenti che, se usati con saggezza, possono contribuire alla crescita umana e favorire la logica del dialogo, cioè della parola che sta in mezzo e a cui tutti possono attingere ma che a nessuno appartiene – come ricordava il card. Angelo Bagnasco nella sua relazione al convegno “Testimoni Digitali” dell’aprile 2010.
Ma esistono anche rischi, connaturati alla logica stessa della comunicazione digitale: la sua parzialità e, con essa – osserva il Papa – “il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiacimento”. Quante volte l’amicizia in rete è solo narcisistica esposizione senza vera volontà di entrare in relazione con l’altro?
Eppure – ci ricorda ancora papa Benedetto – le nuove tecnologie sono una grande opportunità perché “permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie”. A patto ovviamente che sappiamo tenere alta l’attenzione e comprendere che “quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali”. La comunicazione, cioè, non è solo invio meccanico di messaggi nella vecchia e superata logica stimolo-risposta ma si connota come attività centrale delle società umane. Non variabile casuale ma attività ineliminabile che fonda l’agire umano e gli dà senso.
Benedetto XVI non si limita a descrivere l’esistente ma prende posizione in maniera netta: da qui l’invito ai cristiani a stare nella rete, “non semplicemente per soddisfare il desiderio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante della vita umana”. L’esperienza del web 2.0, d’altra parte, ha modificato in maniera radicale il linguaggio, le dinamiche della soggettività, i meccanismi dei rapporti sociali e finanche le forme della cittadinanza. Alla logica dell’accesso – che era alla base del valore del servizio pubblico nei primi anni dell’era del broadcasting – si affianca quella della partecipazione. La produzione dei contenuti e il loro consumo non sono più momenti nettamente separati: nuove forme di creatività e di partecipazione, persino nuovi modi di fare informazione “dal basso” sono già presenti e costituiscono un cambiamento positivo. “II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e più complesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevolezza condivisa”.
Al tempo stesso, tuttavia, bisogna rifuggire dal rischio di un ottimismo acritico, che non consideri i rischi che pure ci sono: a partire dalle forme di controllo monopolistico sulla rete e sui suoi contenuti. Il Papa è molto chiaro su questo: “Il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare le opinioni altrui”.
Sbaglieremmo se pensassimo che comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significhi semplicemente inserire contenuti religiosi: non è questione di contenuti (non solo) ma anche di stili e modalità comunicative come, per esempio, “testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo”.
La Chiesa, in sostanza, sceglie di stare a fianco delle donne e degli uomini del nostro tempo e di partecipare a quel bisogno di comunicazione e di ricerca di senso “che emerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network”.

(*) docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica – Luiss

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