venerdì 7 gennaio 2011

Perché la chiesa copta è lontana dall’universalismo di Roma (Maurizio Crippa)

Perché la chiesa copta è lontana dall’universalismo di Roma

Natale copto tra dolore e apprensioni. Cosa divide il 116esimo successore di san Marco dal 264esimo successore di san Pietro

di Maurizio Crippa

Tra misure di sicurezza speciali, in Egitto e in tutti i luoghi della numerosa diaspora – in Italia la comunità copta è stimata in oltre 30 mila fedeli – la chiesa copta celebra oggi il proprio Natale nel ricordo dell’attentato di Alessandria del 31 dicembre e nel timore delle nuove minacce indirizzate al patriarca Shenouda III, Papa dei copti e 116esimo successore dell’apostolo Marco.
Anche ieri Papa Benedetto XVI, 264esimo successore dell’apostolo Pietro, ha fatto sentire la sua voce in difesa delle “comunità che sono nella prova”, confermando, almeno sotto il profilo mediatico, un ruolo di portavoce vicario di tutte le comunità del medio oriente, anche non cattoliche, vittime della crescente “cristianofobia”.
In difesa dei copti si sono fatti sentire anche altri esponenti della gerarchia cattolica: dal presidente della Cei, Angelo Bagnasco, a Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano dove risiede una delle comunità copte più grandi d’Italia. Eppure per la chiesa di Roma, in evidente sofferenza nei confronti di un islam sempre più aggressivo e violento, non è facile prendere le misure del rapporto con l’antica chiesa autoctona egiziana, così poco “occidentale” e gelosa della propria autonomia. Con una punta polemica, ieri lo storico Alberto Melloni notava al Foglio, che il Vaticano sembra parlare coi copti “solo ora che sono stati uccisi”, suggerendo che “il dialogo interreligioso non può dimenticare quello ecumenico”.
I motivi di questa situazione sono molteplici. Da un lato il Vaticano fatica a trovare interlocutori anche nell’islam “moderato” egiziano (vedi la risposta data a Ratzinger dall’imam di al Azhar, Ahmed al Tayeb).
Dall’altro ci sono motivi antichi, connaturati al particolare, unico, cristianesimo “etnico” dei copti. Copto è parola greca, significa Egitto. E’ una chiesa autoctona, figlia della predicazione di Marco, e la rivendicazione della propria natura segna la sua storia. Una chiesa che nasce, si potrebbe dire, “nazional-popolare” contro l’occupazione bizantina e divisa da Costantinopoli da ragioni teologiche fin dal concilio di Calcedonia del 451. Nazionalisti, profondamente identificati con la propria tradizione, i copti sembrano la smentita storica di un cristianesimo inteso come religione dell’occidente. E anche della sua vocazione universale.
Questo ha contribuito a farli resistere più e meglio di altre chiese. E, in tempi più recenti, ha permesso loro di sviluppare un nazionalismo che li fa sentire profondamente egiziani, nonostante la crescente arabizzazione iniziata con Nasser. Anche la struttura interna della chiesa copta è unica nel panorama mediorientale. Ha da sempre nel monachesimo la truppa scelta e propulsiva (i suoi vescovi provengono dai monaci, celibi). Ha una vivacità notevole nel corpo sociale, consolidata sul territorio grazie alle scuole domenicali, all’istruzione del clero, a una dimensione comunitarista sconosciuta in altre chiese del mondo arabo. Attraverso una personalità come Papa Shenouda i copti hanno conservato la capacità di fare sentire la propria voce.
Ciò nonostante la situazione è peggiorata. Wael Farouq, docente di Lingua araba all’American University del Cairo, ha scritto recentemente che “gli egiziani musulmani pensano che la chiesa copta sia diventata uno stato dentro lo stato, perché non accetta di sottomettersi alla legge”. Padre Rafiq Greiche, responsabile delle comunicazioni della chiesa cattolica in Egitto, ha recentemente scritto, per il sito della fondazione Oasis, che la chiesa copta ha “bisogno di aprirsi” alla società egiziana e alle altre chiese e comunità cristiane. L’attuale tragica contingenza potrebbe spingere in questa direzione.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

© Copyright Il Foglio, 7 gennaio 2011 consultabile online anche qui.

Ottima analisi, direi. Aggiungo che probabilmente e' grazie agli appelli del Papa se la comunita' internazione ha potuto conoscere la situazione drammatica dei Copti.
R.

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