Questa volta sulla realpolitik prevale l’allarme del Papa per la minaccia «relativista»
di CLAUDIO SARDO
Nonostante la pubblicistica prevalente lasci intendere spesso il contrario, Benedetto XVI è stato da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio) molto severo sulle incoerenze dei sacerdoti e ha avviato la linea dura sui casi di pedofilia. Ovviamente nessuno può schiacciarlo nella polemica nostrana. Ma il cuore della sua pastorale - fondata sul riconoscimento della «verità» per tutti gli uomini che viene dalla Rivelazione e sulla critica del «relativismo» in quanto fattore di degrado etico e civile - non poteva non entrare in conflitto con una simile caduta di senso morale, con l’immagine di un potere che diventa arbitrio dei comportamenti. La scelta antropologica della Chiesa si è concentrata principalmente in questi anni, con il benestare del Papa, sulle leggi «eticamente sensibili». Ma i vescovi non possono dare l’impressione di chiudere gli occhi sulla moralità pubblica in cambio del sostegno di Berlusconi alle leggi che stanno a cuore alla Chiesa (ieri è stata confermata l’esenzione dalla nuova tassa comunale Imu dei beni ecclesiastici). Ne va del rapporto con i fedeli e della forza del messaggio. Anch’esso un bene «non negoziabile».
Certamente la condanna di ieri è stato un passo non semplice. Il cardinale Ruini, predecessore di Bagnasco alla Cei, ha sempre cercato di evitare strappi con il Pdl immaginando in futuro un centrodestra a trazione cattolica, modello Cdu tedesca. In fondo è stato Ruini un paio di mesi fa a dare il là al sostegno ecclesiale al governo, puntando il dito sull’inconsistenza dell’alternativa. Bagnasco però, benché provenga dalla Chiesa genovese dell’ultra-conservatore Siri, ha un’indole più prudente e minore voglia di spendere la Cei nello scacchiere politico. Forse ha avvertito anche un rischio nella sovraesposizione sui temi della biopolitica: il messaggio della Chiesa non può trascurare i temi sociali, la solidarietà, la legalità. Quindi ha portato il confronto più a tutto campo (ad esempio nella Settimana sociale), non scoraggiando le presenze cattoliche nei diversi Poli, anzi richiamandole a maggiore coerenza e vitalità.
Nelle difficoltà va incluso anche il conflitto strisciante tra Cei e Santa Sede. Il Segretario di Stato rivendica un primato nei rapporti con il governo italiano e probabilmente ieri, con le sue parole, ha voluto anticipare ciò che Bagnasco dirà lunedì al consiglio permanente della Cei. Non sono mancate in queste ore anche opinioni diverse tra i vescovi. Mons. Giampaolo Crepaldi ha messo nero su bianco la sua preferenza per un partito che contempli nel programma la difesa della famiglia, nonostante le eventuali «incoerenze personali» del suo leader. Mons. Bruno Forte ha invece detto a il Foglio che, se fossero veri i fatti dell’inchiesta, servirebbe «un atto di vergogna e insieme l’uscita di scena dalla vita pubblica».
Ora però la strada sembra segnata. Il limite delle «incoerenze» è stato varcato. La linea della Chiesa, indicata dal Papa, è quella della formazione di «una nuova generazione di politici credenti». Una sfida a suo modo è rivolta a tutti. Che guarda al centrodestra del dopo-Berlusconi. Che non scoraggia un Centro di dichiarata matrice cristiana. E che chiede al Pd di tenersi lontano da derive laiciste e zapateriste.
© Copyright Il Messaggero, 21 gennaio 2011
Beh, la pubblicistica prevalente e' responsabilita' unica dei media.
R.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Ma i titolisti del Messaggero lo sanno che cos'è il relativismo?
Quella di Berlusconi potrà essere rubricata come una colossale incoerenza morale, una sconsiderata deriva peccaminosa "de sexto" ma con il relativismo c'entra come i cavoli a merenda.
E, purtroppo,il relativismo, da tempo, non è più solo una minaccia, e non certo solo a casa di Berlusconi.
Posta un commento