La sosta del Papa a Ouidah
Quella gioia piena di colori e di ritmo
dal nostro inviato Mario Ponzi
La tappa di Ouidah, cittadina nella quale si è appena conclusa la mattinata del Papa in Benin, è ricca di significati. Non fosse altro per quello che essa rappresenta nella storia della Chiesa e della nazione.
Lasciato il Palazzo presidenziale di Cotonou al termine dell'incontro con le autorità civili e religiose, il corteo delle macchine procede verso la nuova meta attraversando la città. È in questo momento che essa appare nel suo volto più smagliante, gioioso, pieno di colori e di ritmi assordanti. Le auto passano tra edifici fatiscenti e abbozzi di grattacielo, che si mescolano come in una di quelle tante contraddizioni che caratterizzano il Paese. Cotonou -- in lingua fon significa «imboccatura del fiume della morte» -- non è la capitale, ma è la città più popolosa e la più importante, grazie al porto, il più grande e frequentato del Benin. Lo si capisce anche dalla selva degli enormi cartelloni pubblicitari che punteggiano ogni metro di strada. È una città viva e vivace, che si è fermata per poche ore per consentire a tutti di vedere il Papa. Scuole chiuse, così come gli uffici e i grandi magazzini. Persino il celebre mercato di Dantokpa, il maggiore a cielo aperto dell'Africa occidentale, è stato disertato stamani da quella folla brulicante che solitamente si aggira tra banchi improvvisati e non, in cerca di emozioni e souvenir per i turisti, di generi di prima necessità, di massaie, di scarti e avanzi, di quanti, e sono tanti, non sanno nemmeno come sfamarsi.
Il servizio d'ordine predisposto lungo le strade ha il suo bel da fare per fermare, agli incroci delle vie, giovanotti in tenuta gialla a cavallo di motociclette anch'esse rigorosamente gialle, espertissimi nell'infilarsi in ogni pertugio libero nel caotico traffico quotidiano. Ci spiegano che si tratta degli zémigiàn, una sorta di mototaxi, usatissime da queste parti per raggiungere i diversi angoli di Cotonou.
Ouidah dista quarantatré chilometri di una strada accidentata e rattoppata alla meno peggio in queste ore, punteggiata da insoliti distributori di carburante: tavoli di legno con bottiglie, soprattutto di cocacola, di diversa misura, persino da un quarto, contenenti benzina. La vendono così al dettaglio, un modo come un altro per sbarcare il lunario.
Ouidah è una piccola città che ha una grande storia. Una storia di sofferenza e di tristezza. Si affaccia su un tratto di quella famigerata costa degli schiavi, conosciuta anche come Diego Cao, sull'Atlantico africano, nei pressi del golfo di Guinea. Il nome stesso lo dice: questa zona dal XVI secolo al XIX è stata uno dei più grandi centri del commercio degli esseri umani. Venivano catturati da mercanti locali senza scrupoli e venduti agli europei in appositi mercati. Un traffico molto redditizio, perché questo era uno dei territori più popolosi dell'intero continente. È anche la culla del voodoo, il rito più antico di queste zone, ma anche di tutta l'Africa, diffuso in Benin al punto da condizionare le scelte religiose della gente. Il tempio voodoo sta proprio di fronte alla cattedrale cattolica e ci dicono che anche molti cattolici, dopo esser stati in cattedrale, non disdegnano una puntatina nel tempio. Questa mattina però gli abitanti sono scesi in massa per far festa attorno al Papa. La prima sosta è nel seminario di San Gall, «uomo dalle virtù eclatanti» lo ha definito Benedetto XVI. Ci sono, riuniti con i seminaristi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici impegnati. Straordinari i colori che sfoggiano le suore con gli abiti delle rispettive congregazioni. Il Pontefice, accolto dal rettore, viene subito accompagnato alla tomba del cardinale Bernardin Gantin. È commosso mentre prega davanti alle spoglie dell'amico con cui ha condiviso lunghi anni al servizio della Chiesa di Roma. Entrambi furono creati cardinali da Paolo VI nel Concistoro del 27 giugno 1977 e a entrambi furono in seguito affidati dicasteri chiave della Curia. Poi Papa Ratzinger sosta in preghiera dinanzi alla tomba di monsignor Louis Parisot, il primo arcivescovo di Cotonou.
Segue l'atteso incontro con le persone consacrate. Dopo i saluti di rito, nel suo discorso il Papa rinnova il proprio invito a seguire la logica della santità e a consacrare la vita a una scelta radicale, quella di Cristo. Esorta i seminaristi a curare la formazione per coglierne i frutti quando dovranno svolgere il loro ministero. A sostegno dei suoi consigli, parla loro di sè, della sua esperienza. Una volta concluso l'incontro tra le esuberanti manifestazioni di affetto dei partecipanti -- come sempre le suore contribuiscono in maniera determinante -- il Papa lascia il seminario per raggiungere la basilica dell'Immacolata Concezione di Maria, dove firma l'esortazione postsinodale. Lo fa dinanzi a una nutrita rappresentanza della comunità ecclesiale beninese, infoltita da esponenti di diverse altre nazioni africane che hanno accompagnato i loro vescovi. Proprio per questo motivo Benedetto XVI, dopo l'introduzione dell'arcivescovo Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, pronuncia il suo discorso in inglese, in francese e in portoghese, le lingue più importanti ereditate dai colonizzatori nei diversi Paesi africani. Ripercorre brevemente la storia delle due assemblee sinodali dedicate al continente, sottolineando lo spirito di continuità che le caratterizza. Ora con l'Africae munus quel cammino iniziato subito dopo l'Ecclesia in Africa di Giovanni Paolo II raggiunge una nuova tappa. Quella che dovrà portare alla definitiva sconfitta delle antiche e delle nuove schiavitù. La consegna dell'esortazione avviene domani, domenica 20, durante la celebrazione della messa nello stadio dell'amicizia di Cotonou.
A fine mattinata il Papa è rientrato in nunziatura a Cotonou. Nel pomeriggio lo attendono i bambini ospiti del foyer «Pace e gioia» aperto dalle Suore missionarie della carità nei pressi della parrocchia di santa Rita. E sarà come immergersi in un'altra drammatica realtà del Paese africano.
(©L'Osservatore Romano 20 novembre 2011)
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