giovedì 10 febbraio 2011

Giorno del Ricordo, Mons. Crepaldi: "La foiba diventa una cattedra che ci insegna la più preziosa e la più utile delle lezioni di storia: se vogliamo la pace dobbiamo sempre rispettare la dignità della persona umana". Il testo dell'omelia.

La Foiba di Pisino
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GIORNO DEL RICORDO: MONS. CREPALDI (TRIESTE), LA FOIBA È “UNA CATTEDRA DI VITA”

“La foiba diventa una cattedra che ci insegna la più preziosa e la più utile delle lezioni di storia: se vogliamo la pace dobbiamo sempre rispettare la dignità della persona umana. A questa cattedra di vita dobbiamo portare i nostri giovani: impareranno qui la lezione più necessaria per la loro formazione”.
Lo ha detto mons. Giampaolo Crepaldi, vescovo di Trieste nell’omelia pronunciata questa mattina durante la messa celebrata alla Foiba di Basovizza in occasione del Giorno del Ricordo. E’ – ha detto il vescovo – la giornata del ricordo “di eventi che hanno segnato drammaticamente, con il loro carico di sofferenza di ingiustizia, queste nostre terre”. Basovizza è luogo e monumento – ha poi aggiunto il vescovo – che richiama “ad una essenziale verità, necessaria se vogliamo che le tragiche avventure che qui si sono consumate non si ripetano mai più: tutto, cioè ogni sistema sociale, culturale, economico e politico; le relazioni personali, quelle nazionali e internazionale; gli organismi civili e le istituzioni politiche; tutto e tutti devono avere come base del loro essere e del loro operare il rispetto della dignità della persona umana creata da Dio a sua immagine e somiglianza. Si tratta di un valore e di un diritto indisponibili e fondamentali. Quando si perde di vista questa bussola può succedere di tutto, anche quello che è successo qui e che continua a succedere in altre parti del mondo”.

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Oggi ho parlato con una giornalista istriana che vive a Trieste, venuta a Roma per la cerimonia al Quirinale del Giorno del ricordo. Mi ha confermato che mons. Crepaldi a Trieste sta facendo bene. Speriamo che la visita del Papa nel Nordest dia quello slancio veramente necessario. Eufemia

Anonimo ha detto...

Radio Vaticana 10/2, Eufemia
Ma cosa ha rappresentato la violenza delle foibe e il dramma dell’esilio per chi lo ha vissuto?
Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Lucio Toth presidente dell'Associazione Nazionale Venezia-Giulia e Dalmazia, esule all’età di 8 anni da Zara:
R. – Quello che è stato fatto con le Foibe era tipico del modo di procedere dei regimi staliniani, quello cioè di eliminare i nemici del popolo con lo strumento più feroce di soppressione, di pulizia etnica, armata da un’ideologia di rivendicazioni sociali; però, in realtà, finì per colpire immediatamente tutti. Poi, una cosa molto grave era anche il fatto religioso: vennero proibite le feste, vennero proibite le cresime, i battesimi e 32 sacerdoti vennero uccisi.

D. – Che ricordo conserva delle persecuzioni, dell’esilio?

R. - Il senso dello sradicamento. Già nel momento in cui lasciai Zara avevo l’impressione che non sarei più tornato. Quindi, è stato questo senso di sradicamento e, la cosa peggiore, di abbandono da parte dello Stato italiano, perché i soldati italiani fuggirono dopo l’8 settembre e noi rimanemmo prima in balia dei tedeschi e poi dei partigiani jugoslavi.

D. – Anche grazie a questa giornata c’è sufficiente memoria, anche conoscenza di quanto accadde allora?

R. – La gente cade dalle nuvole ancora oggi, anche persone di cultura. Anzi proprio a livello popolare le persone anziane ricordano quegli anni per averli sentiti dai loro amici. Ecco perché stiamo tanto lottando, perché dobbiamo passare alla seconda generazione e poi alla terza. Una fortuna che abbiamo è che questa vicenda sia diventata un fatto emblematico di come si possa essere perseguitati, perché oggi queste cose continuano a succedere: nel Kosovo e in Bosnia ci sono ancora pericoli; fuori dall’Europa poi abbiamo delle difficoltà per i cristiani o per le minoranze etniche.

D. – Questi fatti voi come li vivete?

R. – I sentimenti che noi abbiamo sono di grande di dolore quando viene incendiata una chiesa in Iraq, perché ci ricordiamo quello che è successo da noi: non si poteva fare una processione che arrivavano i miliziani di Tito a disperderla, cacciando i bambini, rimandandoli nelle scuole, con i preti che fuggivano con l’ostensorio sotto la pianeta per proteggerlo dagli insulti. Questi sono ricordi che tanti di noi hanno ancora negli occhi.

D. – In merito invece all’identità italiana, per voi un valore, che effetto vi fanno le polemiche e gli scetticismi?

R. – Noi sentiamo che la cultura e la lingua sono un legame molto forte che va al di là delle condizioni economiche, che certamente in Italia sono diventate molto dispari, ma questo non è certo colpa dei meridionali. Quindi, un federalismo solidale che desse alle regioni e ai comuni maggiore autonomia e libertà nella gestione delle riforme, per noi è una cosa positiva, purché non sia l’anticamera di una divisione del Paese: le sirene della secessione ci offendono.

D. – Qual è l’insegnamento da trarre dalla vostra storia che dia contenuto a questo anniversario?

R. – Il rispetto per la persona, la fiducia nella persona umana che va la di là delle differenze politiche, religiose, delle differenze etniche. Quando leggo le memorie di queste persone trovo il partigiano che veniva a bussare alla porta, la stessa porta alla quale due mesi prima veniva a bussare il soldato delle SS per portarci via un fratello, e poi tornano i “drusi”, come li chiamavamo noi, i partigiani jugoslavi, con la stessa violenza, per portare via un altro fratello e fucilare l’uno e l’altro: abbiamo vissuto questa esperienza duplice, quindi sappiamo bene che il vero nemico non si chiama “A” o “B”, ma è chi viola la sacralità della persona umana.